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Migranti, nel Mediterraneo la nave
dell’armatore sociale “fermano”
Alessandro Metz

FERMO - Originario di Trieste, si è trasferito nelle Marche ad inizio anno. Insieme a parlamentari, associazioni e cooperative ha dato vita al progetto Mediterranea: "Partiamo per fare un lavoro di monitoraggio, verifica e denuncia di quello che succede nel Mar Mediterraneo. Se necessario salveremo anche persone in pericolo"

di Andrea Braconi

Il Mediterraneo? Uno spazio di frontiera, diventato un proprio cimitero a cielo aperto. È solo una delle considerazioni riecheggiate in occasione della conferenza stampa di lancio del progetto Mediterranea, che attraverso la nave Mare Jonio (e non solo), battente bandiera italiana, ha avviato un monitoraggio sulla situazione connessa al flusso di migranti.

Armatore, anzi, armatore sociale della nave è Alessandro Metz, classe 1968, triestino, da qualche mese trapiantato a Fermo. “Sono un operatore sociale che da più di trent’anni lavora sulla salute mentale, disabilità gravissime, dipendenze patologiche – chiarisce – ovvero tutta una serie di tematiche assolutamente dentro quel contesto sociale che non fa distinzioni”.

Nella sua operatività e formazione nasce a Trieste, “dove Franco Basaglia ha fatto una rivoluzione e quindi forma il mio essere operatore sociale in un certo modo”.

Basaglia che, subito dopo l’approvazione dalla legge 180 – di cui nel 2018 ricorre il quarantennale – fa un’affermazione che Metz rimarca con forza. “Lui dice: guardate che probabilmente i manicomi li riapriranno, però noi siamo riusciti a chiuderli e abbiamo dimostrato che si può fare. Questo è importante: dimostrare che si può fare. Quindi, perché divento armatore, proprietario di una nave che significa stravolgere ed essere la cosa più distante da me, significa rispondere penalmente e giuridicamente di tutta questa vicenda, significa aver assunto dei marinai e aver dovuto imparare tutta una serie di cose che mi erano assolutamente distanti? È una pazzia. Ma io non posso non essere laddove le contraddizioni esistono. Se sono operatore sociale, io sono questo. E quindi quando si crea una condizione ed un contesto di questo tipo, io mi metto a disposizione per far sì che ci siano determinati presupposti per mettere in modo qualcosa. Serviva l’armatore? Benissimo: ho fondato una società, uno strumento operativo. Serviva una figura di responsabile? Bene: faccio il proprietario, armatore di una nave e ovviamente sono un armatore sociale”.

Come nasce il progetto Mediterranea?

“Nasce un paio di mesi fa, nel momento in cui vediamo quello che sta accadendo nel Mediterraneo. La dinamica politica dei porti chiusi e del blocco delle Ong lascia sguarnito completamente il campo, o meglio, il mare. E nella retorica che viene raccontata non ci sono più le navi in mare e quindi i migranti non partono più. Il problema è che nel frattempo ci sono centinaia e centinaia di persone che continuano a morire, e per questo si voleva tenere volutamente distante da quel tratto di mare chi potesse verificare, controllare e denunciare ciò che stava succedendo. Quindi, nell’assenza di presenze attive in quello specchio di mare continua un massacro, che però non è più possibile raccontare.”

Quindi, cosa scatta in te e in altre persone che hanno poi dato forma e sostanza all’idea?

“Alcune persone si sentono, coinvolgono associazioni e nasce una piattaforma che non è e non diventerà una Ong. Noi stiamo facendo una Ang, un’azione non governativa. Quindi, è una piattaforma caratterizzata da diversi soggetti, singoli, associati, imprese sociali, cooperative e molto altro.”

Come iniziate a muovervi?

“Nella ricerca materiale di un’imbarcazione e nella ricerca economico-finanziaria per poi poter acquistare la nave. Ne abbiamo viste tantissime in giro per l’Italia, da San Benedetto del Tronto a Trieste, dalla Sicilia a Genova. Cerchiamo di capire come trovare le risorse per riuscire ad averla e lì troviamo la disponibilità di Banca Etica, che comprende la valenza sociale dell’iniziativa.”

Disponibilità che si traduce in che termini?

“In particolare nell’accelerare delle pratiche per far sì che quel fido venga accordato. Ovviamente, ci sono delle figure che mettono delle firme a garanzia di questo fido. I garanti sono quattro parlamentari più me e da quel momento in poi, tra i soldi del fido e alcune decine di migliaia di euro messi da parte di alcuni associazioni e privati, finanziamo l’acquisto della nave. Ad un certo punto ci ritroviamo che abbiamo una nave, una piattaforma di associazioni ed iniziamo a fare dei lavori sulla stessa nave in un cantiere ad Augusta affinché questa possa avere tutte le condizioni necessarie per affrontare qualunque tipo di evenienza nel Mediterraneo.”

Che tipo di attività è la vostra?

“Partiamo per fare un lavoro di monitoraggio, verifica e denuncia di quello che succede nel Mar Mediterraneo, però è evidente che laddove dovessimo incontrare qualche situazione critica le normative internazionali, le leggi del mare e la civiltà che ci portiamo dietro imporrà anche il fatto di mettere in moto procedure di salvataggio di persone che potrebbero trovarsi in difficoltà.”

Il vostro rapporto con le Ong?

“Dentro la piattaforma c’è anche See Watch, una Ong tedesca che da tre anni fa lavoro di ricerca e salvataggio in mare. In questo momento le sue imbarcazioni sono bloccate a Malta. C’è anche il coinvolgimento di Open Arms, che è presente in questo momento con la Astral, un’imbarcazione che non può fare salvataggio essendo un veliero, ma a bordo ci sono persone che hanno un’esperienza incredibile ed assoluta. Adesso Open Arms sta operando tra Gibilterra e la Spagna, mentre la Astral fa quel lavoro di monitoraggio coordinato con noi. Oggi (venerdì 5 ottobre, ndr) c’è stato il punto di incontro operativo nel Mediterraneo con la nostra nave Mare Jonio. Oltre a questo ci sono due barche a vela prese a noleggio, che chiamiamo navi appoggio, in modo tale che ci sia la presenza della parte della comunicazione, di quella legale e dell’operativa. Sostanzialmente in questo momento abbiamo una flotta nel Mediterraneo, composta dalla nave principale, due barche a vela più la Astral di Open Arms, per far sì che ci sia un lavoro di monitoraggio dentro un coordinamento e, dove necessario, la capacità di rispondere alle normative internazionali di salvare eventuali naufraghi.”

Torniamo alla comunicazione: attraverso quali canali è possibile consultare il monitoraggio avviato?

“Attraverso il sito mediterranearescue.org, i profili Facebook, Twitter e Instagram ci sarà un continuo monitoraggio di quello che succede e di ciò che facciamo. Su una delle imbarcazioni c’è la presenza di un giornalista di Repubblica e di uno dell’Avvenire, un video reporter di Associated Press ed Elena Stancanelli, che è una scrittrice ma anche collaboratrice del Corriere della Sera. Sull’imbarcazione dell’Astral c’è una troupe della Cnn e una della Bbc.”

Comunicazione che, come evidente a tutti, gioca sempre più un ruolo determinante di informazione ma anche di deformazione della realtà.

“Infatti, su questo c’è stato un coinvolgimento immediato da parte di alcuni testimonial, che si sono resi disponibili sia ad essere presenti sulle imbarcazioni sia a produrre ulteriore informazione e comunicazione, avendo la possibilità di arrivare a molte più persone. Questa sera (ieri, ndr) Michela Murgia sarà a Cartabianca e parlerà di Mediterranea, abbiamo Sandro Veronesi, scrittore, e Paolo Virzì, regista; insomma, una serie di figure autorevoli che ci aiutano a veicolare maggiormente le notizie e a favorire una raccolta di crowdfunding.”

E questo è un altro tassello fondamentale nel vostro percorso.

“Fin qui abbiamo fatto debiti e speriamo che una raccolta di crowdfunding ci dia la possibilità non solo di rientrare del debito, ma che possa produrre un ingresso economico per dare continuità a questo tipo di attività.”

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