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«Dai Giardini Diaz a via Spalato,
ecco cosa accadde quel giorno
Ma non ho ucciso Pamela»

OMICIDIO MASTROPIETRO - Innocent Oseghale questa mattina ha parlato in aula al processo d'appello ad Ancona. Ha ricostruito quello che è successo quando ha incontrato la ragazza il 30 gennaio 2018 a Macerata. Si è scusato con la famiglia e ha chiesto: «Non giudicatemi per il colore della pelle». La madre della 18enne è scoppiata in lacrime quando ha raccontato di aver tagliato il corpo per metterlo nei trolley

 

Innocent Oseghale in aula questa mattina

 

di Federica Serfilippi (di Giusy Marinelli)

«Signori giudici, grazie ancora per questa seconda opportunità. Prima di tutto, mi scuso con la famiglia di Pamela. Non ho ucciso Pamela. È morta nella mia casa, dopo aver preso eroina. Io ho tagliato il corpo: voglio pagare per i crimini che ho commesso e non per quello che non ho commesso».

Sono iniziate così le dichiarazioni spontanee di Innocent Oseghale, imputato nel processo d’appello per aver ucciso, abusato sessualmente e martoriato il corpo della 18enne romana Pamela Mastropietro (i fatti erano avvenuti il 30 gennaio 2018 a Macerata). Le dichiarazioni, preparate su un foglietto e tradotte dall’inglese all’italiano da un’interprete, sono arrivate a margine del termine della discussione del procedimento, dopo le arringhe degli avvocati Umberto Gramenzi e Simone Matraxia, difensori del nigeriano. L’imputato, condannato all’ergastolo in primo grado, ha detto all’incirca le stesse cose che aveva detto durante il processo di primo grado al tribunale di Macerata. «È vero che io e Pamela abbiamo fatto sesso, è stato nel sottopassaggio di Fontescodella. Ha voluto fare sesso come lo aveva fatto con altri ragazzi – ha detto Oseghale -.Voglio descrivere come ci siamo incontrati: era il 30 gennaio 2018, quando un mio amico mi ha chiamato, dicendomi di incontrarlo ai Giardini Diaz per comprare della marijuana. Sono andato ma non c’era e mi sono seduto. E’ stato allora che Pamela mi ha avvicinato. Mi ha chiesto di accendere e offerto una sigaretta. Mi ha chiesto dell’eroina, ma io non l’avevo e allora mi ha chiesto se potevo contattare qualcuno che la vendeva. Mi ha chiesto poi se gli piacevo. Io dissi di sì, così si offrì di fare sesso con me. Siamo andati al sottopassaggio di Fontescodella e abbiamo fatto sesso senza protezione. Dopo di questo, ha iniziato ad andare in ansia, a parlare in modo ansioso. Ha insistito nel fatto che io chiamassi un amico per procurare eroina. Ho chiamato Awelima, ma lui mi ha detto di chiamare Desmond Lucky. Ci siamo dati appuntamento per incontrarci, quando sono andato li, non c’era. Era allo stadio. Ci siamo incontrati e mi ha venduto l’eroina per Pamela.

Alessandra Verni, mamma di Pamela

Dopo, abbiamo camminato lungo la strada, siamo entrati in un negozio. Le ho detto che volevo andare a casa e mi ha risposto che voleva venire con me, voleva farsi una doccia perché aveva il treno alle 2 del pomeriggio per Roma. Le ho detto ok, poi siamo entrati in un supermercato per comprare qualcosa da mangiare. Vicino a casa mia, in via Spalato, c’è una farmacia. Mi ha detto di volere entrare per comprare una siringa. Dopo averla presa, ha salutato qualcuno. Poco dopo mi ha chiamato un amico, chiedendomi di incontrarci ai giardini come al solito. Io gli ho detto che ero con una ragazza. Quando con Pamela siamo arrivati a casa, le ho mostrato la foto della mia famiglia. Lei era felice, mi ha abbracciato e baciato. Poi mi ha chiesto di mostrarle il bagno. Sono andato in cucina a preparare il latte. Anche lei è venuta in cucina e mi ha chiesto un cucchiaino. Le ho chiesto se volesse qualcosa da bere, ma ha rifiutato. Nel frattempo, ha preparato la dose di eroina. Io mi sono messo a lavare i piatti, lei ha detto che voleva rilassarsi, se potevo mettere un po’ di musica. Sono andato a prendere il pc per ascoltare la musica e ho sentito un rumore. Sono andato a controllare, e Pamela era caduta a terra. In quel momento i suoi occhi erano aperti, ma non parlava. L’ho sistemata sul letto e dopo ho chiamato il mio amico Anthony. Gli ho spiegato la situazione di Pamela. Mi ha detto di darle un po’ d’acqua e così ho fatto. In quel momento, lei stava ancora respirando, ma il respiro era affannoso. Mi ha chiamato un amico per la marijuana, mi stava aspettando. Sono uscito per incontrarlo, sperando che poi Pamela sarebbe stata meglio. Sfortunatamente, quando sono ritornato a casa, Pamela era già fredda. Aveva un colorito molto pallido della sostanza ai lati della bocca. Vedendola cosi sono rimasto scioccato e molto confuso. Ho chiamato il mio amico di nuovo, spiegando la situazione. Lui mi ha incolpato, dicendo che avrei dovuto chiamare la polizia o l’ambulanza. Io gli ho detto che Pamela era morta, questo era un grande problema. Ero veramente molto confuso e dispiaciuto – ha continuato Oseghale -. La mia fidanzata mi ha chiamato diverse volte, ma non potevo risponderle. In quel momento sono diventato agitato, pazzo. Sono andato a comprare una valigia. Era troppo piccola, non ci poteva entrare. Così ho tagliato la testa e ho tagliato il cadavere in pezzi per poter poi uscire da casa». E’ in questo passaggio che la mamma di Pamela, Alessandra Verni, presente in aula questa mattina, è scoppiata a piangere. «Ho chiamato il taxi per avere un passaggio e lasciato le valigie sulla strada. Questa è la verità di quello che successe. Lo so che ho fatto cose molto brutte, ma non ho ucciso Pamela. Abbiamo solo fatto sesso, come lei voleva. Ora, vi chiedo di giudicarmi senza pregiudizi, non giudicatemi per il colore della pelle». Dopo le dichiarazioni di Oseghale ora spazio alle repliche di accusa e parti civili. Lo zio ha replicato: «Le scuse le rimandiamo al mittente». In serata è attesa la sentenza.

L’avvocato Simone Matraxia

Il procuratore Sergio Sottani

L’avvocato Marco Valerio Verni

 

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