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Vaccini prodotti nelle Marche?
Pfizer e Angelini spengono le speranze
«Stabilimenti non adatti»

COVID - Le due aziende con siti di produzione nella nostra regione hanno escluso la possibilità di riconvertire per produrre dosi anti-Covid. La big pharma con sede ad Ancona: «Nessuno dei nostri impianti è progettato per la produzione di iniettabili e pertanto non convertibile nel breve-medio termine». Era stato l'assessore regionale Saltamartini a lanciare l'idea

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Una fiala di vaccino Pfizer-Biontech

 

di Francesca Marsili

Se la strategia di stringere alleanze tra case farmaceutiche per produrre vaccini già approvati avanza sul piano nazionale, l’ipotesi di autoprodurlo nelle Marche sembra essere altamente improbabile. Sono due gli stabilimenti farmaceutici presenti nella nostra regione: la Angelini di Ancona e la Pfizer di Ascoli, entrambi, contattati, hanno escluso la possibilità di una riconversione per la produzione del vaccino contro il Covid-19.  Ad accarezzare la possibilità di una produzione regionale era stato l’Assessore alla sanità Filippo Saltamartini che – in un’intervista a Cronache Maceratesi – aveva annunciato di aver proposto all’ex viceministro della salute Sileri  «di avviare il processo di produzione nella nostra regione che annovera imprese farmaceutiche di primo piano a livello internazionale, tra cui la Pfizer». L’esigenza di avere a disposizione un maggior numero di dosi anche a causa dei continui ritardi da parte di Pzifer e Astrazeneca, sta spingendo in un’ottica di collaborazione per una produzione in house, ma sebbene in Italia ci siano stabilimenti in grado di compiere un’impresa del genere come la Catalent di Anagni, in provincia di Frosinone, ha già ricevuto da Johnson & Johnson il mandato alla produzione del suo farmaco, i due presenti nelle Marche non sembrano essere tra i candidati.

ANGELINI-FARMACEUTICA

La sede della Angelini ad Ancona

Contattata da Cronache Maceratesi, la Angelini Holding spa di Roma in relazione ad una possibile partecipazione del loro stabilimento di Ancona nella produzione del vaccino risponde: «In merito alle ipotesi di coinvolgimento di Angelini Pharma in un possibile progetto di riconversione della propria capacità industriale per la produzione di vaccini anti Sars-CoV2, desideriamo chiarire che nessuno dei nostri impianti è progettato per la produzione di iniettabili e pertanto non convertibile nel breve-medio termine a una produzione di farmaci biologici così complessi come i vaccini. Inoltre, i nostri stabilimenti sono già al massimo della loro capacità per produrre i farmaci per i nostri pazienti, tra cui antidepressivi che richiedono continuità terapeutica, ma anche il presidio medico-chirurgico Amuchina X-germ, fondamentale per rispondere alla richiesta di maggiore igiene e disinfezione. Infine – conclude l’head office – un nuovo impianto con le caratteristiche adatte per produrre vaccini biologici richiederebbe a chiunque tempi lunghi, non compatibili con le esigenze di celerità richieste dalla situazione contingente. Angelini Pharma resta comunque in prima linea nella lotta contro la pandemia grazie ai propri presidi sanitari e farmaceutici ed al proprio impegno sociale».

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Massimo Scaccabarozzi

Proprio ieri all’Ansa il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi ha sottolineato che «la produzione di un vaccino non è come realizzare altri farmaci: un vaccino è un prodotto vivo, non di sintesi, va trattato in maniera particolare. Il vaccino deve avere una bioreazione dentro una macchina che si chiama bioreattore. Insomma, non è che si schiaccia un bottone ed esce la fiala, da quando si inizia la produzione passano 4-6 mesi. Bisogna essere consapevoli – ha aggiunto Scaccabarozzi – che le aziende che si trovano in Italia, per produrre il vaccino devono avere le macchine necessarie. Importante anche l’infialamento: alcune hanno già delle macchine per questo passaggio della produzione, ma bisogna vedere se sono adatte a infialare proprio quei vaccini. Alla Catalent di Anagni per esempio lo stanno già facendo con Astrazeneca e lo faranno anche con il preparato di Johnson&Johnson». Risposta analoga a quella fornita dalla Angelini arriva dalla Pfizer che ad Ascoli Piceno ha uno stabilimento.

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Filippo Saltamartini

Fonti dell’azienda picena avevano già escluso la possibilità di una riconversione qualche settimana fa (leggi qui). E lo hanno ribadito anche ora. Lo stabilimento di Ascoli è organizzato per produrre solidi orali, compresse per intenderci, mentre per produrre vaccini è necessario che lo stabilimento venga strutturato con un’appendice sterile dove poter strutturare la produzione di sterili iniettabili. Attualmente solo la sede Pfizer di Catania potrebbe essere più affine al tipo di produzione necessaria per il vaccino, perché ha una piccola area sterile. Sebbene l’assessore Saltamartini abbia affermato «penso che si possa ragionare con il Governo, anche con l’impiego di Fondi strutturali europei per avviare una macchina», ad oggi le big pharma  candidate non sembrano essere quelle che possiedono stabilimenti nelle Marche. L’ultima ipotesi per produrre vaccini in Italia annunciata nelle scorse ore, è quella che vede convertire gli impianti che già producono l’antinfluenzale e che approderà giovedì sul tavolo del governo nell’incontro tra il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e il presidente di Farmaindustria Scaccabrozzi. Un criterio di selezione strategico e obbligato questo, che allontana definitivamente la possibilità di vedere le due farmaceutiche marchigiane protagoniste di un progetto di riconversione per la produzione di vaccino anti- Covid poiché ne Angelini ne Pfizer sono nella nostra regione produttrici di vaccino antinfluenzale.



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