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Marche, gli indici dell’economia
sono in costante deterioramento

L'ANALISI di Ugo Bellesi - Oltre alla crisi della calzatura, della farmaceutica, della moda, dei tessili e dell’abbigliamento, la pandemia ha provocato l’aumento della disoccupazione, la diminuzione del Pil, degli investimenti, della produzione e delle esportazioni. A confronto la situazione del Nord del paese con le regioni del centro Italia

 

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Ugo Bellesi

 

di Ugo Bellesi

Sono stati resi noti i dati sulle esportazioni delle Marche nel primo trimestre 2021 ed è positivo che si sia registrato un aumento dell’export pari al 3,3%. I prodotti che hanno avuto aumenti a due cifre sono i macchinari (grazie all’innovazione e alla robotica), gli apparecchi elettrici, gli strumenti in metallo, i mobili, il legno e i prodotti chimici. Seguono a ruota l’export positivo di computer e apparecchi elettronici, autoveicoli, alimentari, carta e prodotti cartacei. In flessione, invece, gli articoli farmaceutici (-38%), la moda, la pelletteria e le calzature (-13.7%), i prodotti tessili (-10.6%) e l’abbigliamento (-2.4%). Le difficoltà delle calzature (per decenni il nostro settore trainante ed ora fanalino di coda) erano note, anche perché non si esporta più in Russia, tanto che lo Stato ha definito questo settore come “area di crisi complessa”. Non figurano in queste statistiche trimestrali né la ristorazione, né il turismo, né la pesca, che hanno sofferto moltissimo a causa delle regole imposte dalla pandemia.

bond-economia-crisiL’ultima relazione fatta dal Cnel a Governo e Parlamento sui servizi pubblici offerti dalle amministrazioni centrali e locali ai cittadini ha messo in evidenza dati molto interessanti. Risulta che «la sanità italiana rende buoni servizi ai cittadini del nord, parecchio meno a quelli del sud». Infatti, è «forte il peso delle disparità nell’offerta di servizi, nei tempi di attesa e nelle differenze territoriali». Si è registrato certamente un calo della mortalità, tra i 30 e i 69 anni per tumori maligni, diabete e malattie cardiache, ma non per tutti e non dovunque. «L’Italia – si legge tra l’altro nella relazione del Cnel – è il paese europeo con le più grandi differenze tra regioni». Non solo nella sanità ma ad esempio anche nell’offerta di asili nido pubblici. In pratica risulta che per un bambino che nasce a Reggio Calabria la spesa sociale è di 55 euro, per uno che invece nasce a Verona 177 euro. Questo perché da anni si è imposto il principio che per gli investimenti si deve tener conto della “spesa storica”. Secondo i più recenti dati forniti dall’Istat, in Italia risultano in povertà assoluta 5,6 milioni di cittadini appartenenti a circa due milioni di famiglie. Nel centro Italia (Lazio, Marche, Toscana e Umbria) a vivere nell’indigenza è il 9,5% dei bambini. Era il 7,2% nel 2019. Sempre nel centro Italia le famiglie in povertà assoluta sono il 5,4% della popolazione, vale a dire un totale di 290.000 famiglie contro le 242.000 del 2019. Pertanto, anche la percezione della difficile situazione economica da affrontare da parte delle famiglie stesse è molto rilevante. Il 30,8% delle famiglie del centro Italia si dichiara preoccupato per le proprie condizioni economiche mentre nel 2019 era soltanto il 27,5%.

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Valerio Temperini

Il quadro è già abbastanza deprimente ma a chiarire ancora meglio che la situazione sta peggiorando sono arrivati i dati statistici offerti dal report della regione Marche. Confrontando i dati del 2020 con quelli del 2019 risulta che la disoccupazione è cresciuta del 71%, il Pil diminuito dell’8,8%, gli investimenti calati dell’11,7%, la produzione del 13,55% e le esportazioni dell’11,2%. Il fenomeno depressivo era già in atto ma va tenuto presente che questi dati sono il risultato della pandemia e delle drastiche misure che (a partire da gennaio 2020) si sono rese necessarie per cercare di contenerne il diffondersi inarrestabile. Nei mesi scorsi note personalità, studiosi e ricercatori hanno cercato (in convegni, dibattiti e interviste) di dare una risposta al problema del lento declino economico cui sembrano destinate le Marche. Il professor Valerio Temperini, docente di marketing all’Università Politecnica di Ancona, ha detto tra l’altro che «l’isolamento delle aree interne costituisce un freno a mano dell’economia». Per sottolineare che un problema è costituito dall’essere troppo divisivi nel proporre progetti ha dichiarato: «Più i paesi condividono gli stessi problemi e più sono coesi tra loro, maggior forza hanno per influenzare gli investimenti». Invece ancora impera, purtroppo, il campanilismo e sembra che ogni Comune sia in guerra con quello vicino per accaparrarsi un servizio, per avere un finanziamento ecc. ecc.

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Gian Mario Spacca

E la conferma ci viene da Gian Mario Spacca, già presidente della regione Marche, il quale ha espresso questi concetti: «Nella mia precedente vita (da presidente di Regione ndr) il fine principale del governo è stato fare di tante Marche una regione. Ma questa regione è un’altra cosa: gelosie, rivalità, campanilismo. La balcanizzazione dei partiti è frutto di questo carattere». Più oltre ha aggiunto: «Per la crisi che stiamo vivendo, per le dimensioni in cui siamo immersi, non è più possibile essere né gelosi, rivali o campanilisti. Bisogna saper collaborare…Ma per riuscirvi serve una comunità regionale coesa…». L’economista Carlo Cottarelli, in un convegno di Confindustria, aveva dichiarato: «Se l’efficienza della pubblica amministrazione marchigiana fosse pari a quella dell’Emilia Romagna, il settore privato potrebbe beneficiare di una crescita della produttività più elevata del 7-9%». Aggiungendo subito dopo: «Per raggiungere l’Emilia Romagna servirebbe, ad esempio, un dimezzamento dei tempi della giustizia civile». In altra circostanza Cottarelli si è così espresso: «Se le Marche raggiungessero i valori di accessibilità del territorio della Lombardia, l’aumento di produttività potrebbe attestarsi attorno a 12/16 punti percentuali di Pil». E poi ha precisato: «Le imprese della regione Marche sembrano scontare un gap non solo rispetto alla regione più produttiva, la Lombardia (-32%), ma anche rispetto alla media nazionale (-16%)». Quindi Cottarelli lamenta carenze nella burocrazia, lentezza della giustizia civile e mancanza di infrastrutture efficienti.

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Giuseppe De Rita

In un collegamento webinar con la Camera di commercio delle Marche, il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, confermando l’handicap creato dalla carenza di infrastrutture nella nostra regione, ha precisato: «Spesso questo diventa un alibi che andrebbe trascurato per pensare a come inserire il sistema marchigiano nelle filiere internazionali». «Sì – ha precisato – mancano le strade ma la Foligno-Civitanova non mi pare abbia innestato circoli virtuosi». Ha infine aggiunto: «Se le piccole imprese vanno in cerca di un livello di complessità superiore devono uscire dalle Marche» perché tutto dipende dalla capacità di essere connessi con la filiera internazionale da cui attingere dei servizi migliori, una gestione tecnologica più adeguata ma anche una maggiore capacità di penetrazione nei mercati. Altri suoi due concetti sono stati questi: «La pluralità è stata la forza delle Marche ma se si spezzetta troppo e arriva alla realtà atomica non ce la fai a tenere insieme le cose. Non mi preoccupa il ciclo basso della vostra società ma serve una piattaforma che condivida visioni. Da lì verranno i leader». Quando parla di “uscire dalle Marche” certamente De Rita non invita a portare via le aziende ma soltanto a renderle più efficienti e competitive mediante legami più stretti e più solidi con “la filiera internazionale”. Il che può avvenire anche avendo l’ufficio stampa a Milano, allacciando rapporti con le aziende più forti della propria filiera, frequentando gli ambienti finanziari e non mancando ai convegni di Cernobbio. E ciò presuppone anche una certa solidità finanziaria. Ai tanti problemi che gravano sulla nostra regione, se n’è aggiunto un altro costituito dalla carenza di manodopera. Fenomeno che non riguarda soltanto il lavoro in agricoltura, ma anche nei ristoranti, nelle piccole aziende artigianali, negli alberghi, nelle aziende della pesca, negli chalet sulle spiagge e un po’ ovunque. Specie in agricoltura i braccianti servono per i lavori stagionali come la raccolta della frutta, la vendemmia, la potatura, l’allevamento, ecc.ecc. È per questo che gli agricoltori sono costretti a rivolgersi alle cooperative che portano in Italia braccianti extracomunitari. Altri debbono ricorrere alla comunità pachistana che risiede nel Maceratese. «Nell’immaginario collettivo – ha dichiarato Francesco Fucili, presidente della Coldiretti Macerata – l’attività agricola viene vista ancora come un’occupazione poco dignitosa, ma forse è meglio di tanti altri lavori». Resta il fatto che il lavoro a tempo determinato (come quello stagionale) piace sempre meno ai giovani, i quali quasi sempre chiedono di avere il giorno festivo libero. Ma ciò che li spaventa di più sono il compenso troppo basso e il contratto aleatorio.

Effetto pandemia nelle Marche, disoccupazione aumentata del 71% In 300mila non cercano neanche lavoro

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