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Una giornata a casa del ct
«Roberto Mancini orgoglio di Jesi,
ai calci di rigore è stato geniale»

VIAGGIO tra i luoghi cari all'allenatore della Nazionale italiana. La sua città è in visibilio in vista della finale degli Europei contro l'Inghilterra. Gli amici raccontano aneddoti e cosa ha detto ai giocatori che si preparavano ad andare dal dischetto in semifinale: «Il primo lo calcio io, il secondo Vialli, per il terzo abbiamo De Rossi. E poi?»

 

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Manifesto di Mancini nelle vicinanze del palazzetto Ezio Triccoli

 

di Leonardo Giorgi

Camminando per Jesi, in questi giorni, c’è una tensione diversa. Qualcosa che va oltre le bandiere tricolore appese a ogni angolo, le vetrine vestite a tema, i tavoli dei bar coperti dalle pagine di decine di copie della Gazzetta, i bambini con la maglia azzurra. Tutto questo, a pochi giorni dalla finale di un Europeo che ha visto l’Italia protagonista, si può trovare da ogni parte. Ma a Jesi, la città natale del commissario tecnico Roberto Mancini, è diverso. E lo si nota per almeno un paio di motivi. Il primo è il più evidente: la città è tappezzata di manifesti di ogni dimensione dedicati all’allenatore “orgoglio di Jesi”, tra cui due cartelloni giganti nelle vicinanze del palazzetto. Il secondo motivo è quella stessa gioia e quella stessa concentrazione che hanno caratterizzato il gruppo dei giocatori azzurri delle ultime notti magiche: nessuno si vuole sbilanciare in un pronostico o in quello che sarà dopo domenica sera, perché è tutta la città che scenderà in campo con il Mancio. Tutta Italia tiferà Italia, ma a Jesi un po’ di più.

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Enrica e Francesco Focarelli

«Ha già fatto qualcosa di straordinario. È partito da meno di zero e adesso è in finale. Io glielo ho sempre detto che ci credevo». Enrica Focarelli, amica di Mancini e dei suoi genitori, è evidentemente emozionata al pensiero di vedere il ragazzo che ha visto crescere diventare l’allenatore che ha riportato entusiasmo a un movimento che nel 2018 aveva toccato il fondo. «Mio marito lo diceva sempre, “lasciatelo lavorare in pace ‘sto ragazzo, che arriverà in alto”. Era già stato un campione, ma adesso ha portato l’Italia in finale. Ci aveva visto lungo». Nell’ottica Focarelli del migliore amico e compagno di biciclettate Francesco, lungo il corso Matteotti, Mancini è spesso ospite. Fino a qualche settimana fa era possibile vederlo ogni tanto sui divanetti del negozio a chiacchierare con Francesco e a stare al telefono per i suoi impegni, senza rifiutare mai una foto o un autografo. Sempre contraddistinto però dalla sua riservatezza, come emerge da chiunque a Jesi abbia avuto la possibilità di incontrarlo.

«Lui è sempre calmo e introverso, come suo padre – continua Enrica – che è una bravissima persona. Quando qualcuno si avvicina per fargli i complimenti è quasi imbarazzato, perché lui non si è mai sentito sopra gli altri. È sempre stato umile e si è sempre dato a chi ne ha bisogno, in silenzio e senza farsi pubblicità. Ha un rapporto intimo con la fede e in ogni ambiente in cui ha lavorato il suo obiettivo è stato quello di creare un gruppo, una famiglia. Non solo adesso con la Nazionale come abbiamo visto tutti, anche quando era al Galatasaray per esempio è stato come un padre per alcuni giocatori».

Lo stesso Francesco, caratterizzato dalla stessa riservatezza dell’amico allenatore (“amico” è riduttivo, a Jesi dicono tutti che Francesco sia come un fratello per lui), non riesce a contenere il suo orgoglio. «Non abbiamo parlato a voce ultimamente, ma ci sentiamo per messaggi. Noi amici cerchiamo di non disturbarlo troppo in questo momento. Siamo tutti orgogliosi di lui, è bello vedere l’entusiasmo che c’è a Jesi. Stiamo andando avanti un passo per volta, ha fatto un grandissimo lavoro. Se c’è un giocatore che rappresenta di più Roberto in squadra? Difficile dirlo, la forza di questa Nazionale è il gruppo, più che un singolo in particolare. Forse per affinità tecniche, i due che incarnano meglio lo spirito di Mancini in questa squadra sono Jorginho e Verratti». E se domenica le cose dovessero andare bene? «Diciamo che abbiamo fatto un fioretto – sorride Francesco – ma per adesso è un segreto».

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Luciano Zoppi

Il Mancio, a Jesi, è nei pensieri di tutti. E il discorso che l’allenatore ha fatto ai ragazzi della squadra prima dei calci di rigore contro la Spagna qui è già leggenda. Come raccontato dai più informati, Mancini è andato dai ragazzi visibilmente tesi e stanchi e, per stemperare la tensione, ha detto: «Ok ragazzi, non vi preoccupate. Allora, il primo rigore lo tiro io. Il secondo lo tira Vialli. Per il terzo abbiamo De Rossi. Gli altri due…». I giocatori sono scoppiati a ridere, tra cui capitan Chiellini, ben ripreso dalle telecamere con un gran sorriso mentre il leader avversario, Jordi Alba, se ne stava con la faccia scura e un po’ irritata dalla tranquillità del giocatore azzurro. Sono questi piccoli particolari ad aver coeso un gruppo di ragazzi e ad aver emozionato tutti.

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Massimo Bacci, sindaco di Jesi

Come riconosciuto dal sindaco di Jesi, Massimo Bacci. «La soddisfazione è tanta per tutti i cittadini di Jesi – sottolinea il primo cittadino -. Abbiamo voluto dimostrarlo con i tanti manifesti e i volantini che abbiamo dato ai negozianti e che hanno affisso sulle loro vetrine. Le iniziative in città per celebrare il nostro ct sono tantissime. Stiamo ancora ragionando su come farlo al meglio alla fine di questa avventura, a prescindere da come sarà il risultato finale. La nostra gratitudine non sarà condizionata. Per domenica sera, oltre ai vari punti in cui si è potuto vedere la partita durante le ultime settimane, allestiremo un mega schermo anche nella zona del campo di San Sebastiano, dove Roberto ha dato i suoi primi calci. Sono previsti anche collegamenti con la Rai». E un pronostico? Anche il sindaco, come tutta Jesi, non si sbilancia. «Come dicono tutti, la palla è rotonda. Soprattutto in una finale. Può succedere di tutto, ma la cosa importante è che il lavoro fatto da Mancini è evidente. Ricordiamoci da dove arriviamo. Speriamo di poter fare la nostra bella figura come fatto fino ad ora, a prescindere da come andrà alla fine».

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Matteo Beldomenico

«La gioia che si respira è tanta. Negli ultimi tempi Mancini si è visto spesso a Jesi e con il suo gruppo di amici, quando vanno in bicicletta, di solito passa a fare colazione qui» racconta Luciano Zoppi, dell’omonima storica pasticceria di via San Francesco. «Lui è una persona eccezionale, sempre discreto e mai spocchioso. C’è voglia di fare festa e speriamo che vada tutto bene. Se andrà come deve andare magari dedicheremo un nostro prodotto agli Azzurri». Una riservatezza e un rapporto di amicizia forte raccontato anche dalle parole di Federica Rocchetti, amica di famiglia. «Lui non è tipo da farsi vedere troppo, ma ha sempre fatto tanto per le persone in difficoltà e ha partecipato a molte cene solidali organizzate a Jesi. Una bravissima persona, così come i suoi genitori, che a Jesi conoscono tutti. Personalmente in questo periodo sono a Monaco e anche se seguo la Nazionale e Roberto da qui, mi dispiace non respirare il clima frizzante della mia città». E “frizzante” è proprio quello che si vede e si sente a Jesi. Racconta Matteo Beldomenico del locale La Mangeria sul viale della Vittoria «Non ho mai visto questo livello di entusiasmo per la vittoria di una semifinale, i ragazzi sono andati in giro a suonare col clacson fino a parecchie ore dopo la fine della partita. Siamo tutti carichi per Mancini e penso che per i più giovani ci sia tanta voglia di far festa dopo un anno e mezzo di chiusure e pandemia».

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Lo staff del bar Corso Piccolo Caffè

«In generale c’è un mix di entusiasmo e ansia – sottolinea Lorenzo Rosini, gestore del bar Corso Piccolo Caffè insieme a Edoardo Rossi in corso Matteotti -, siamo tutti felici di quello che ha fatto il Mancio. Ci ricordiamo da dove siamo partiti e ci ha riportato in alto. Non farò un pronostico come penso nessuno voglia farlo. Per quanto mi riguarda domenica sera terrò aperto, mettendo il televisore nello stesso punto in cui è stato sempre per queste vittorie. Mancini è uno di noi, viene dallo stesso quartiere di San Sebastiano in cui sono nato anche io».

Proprio davanti al campetto di San Sebastiano, mentre si cerca un qualche segno come per testimoniare le origini di un eroe, un signore sta aspettando suo nipote. «Sì, qui ci abbiamo giocato tutti. Ci abbiamo giocato tutti con Mancini, in realtà». Si può pensare che quel nonnino stia esagerando. Non è il primo che lo dice. Possibile che tutti a Jesi abbiano giocato con Mancini? In effetti basta guardarsi attorno ancora una volta e dare un’occhiata a quelle bandiere, a quei manifesti, a quelle risate dentro un bar. Ma sì, ci hanno giocato tutti. E quando la squadra della tua Nazionale arriva in finale di un Europeo guidata da “uno di noi”, si può chiedere poco di più. Anche il risultato finale può passare in secondo piano. Non è mica da questi particolari che si giudica un allenatore.

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Il campo di San Sebastiano, dove Roberto Mancini ha iniziato a giocare a calcio

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