Il Comune restaura
la Lapide dei Marrani
in piazza Malatesta

ANCONA – La targa che ricorda l’episodio del 1556 di portata nazionale è in corso di manutenzione. Manca però un piano per il restauro delle tanti lapidi storiche diffuse nella città

La targa di piazza Malatesta nella foto di Massimo Cartaginese

 

 

di Giampaolo Milzi

No, non è sparita perché vittima di un sequestro animato da odio politico o di un atto vandalico. Si trova in attesa di cure certosine al deposito dell’Ufficio magazzino municipale (presso l’ex Mattatoio di Valle Miano) la cosiddetta “Lapide del Marrani”, che dal 1992 ricorda in piazza Malatesta ad Ancona le fiamme che nel maggio del 1556 trasformarono in cenere la vita di 24 ebrei (ma il numero è incerto) accusati di falsa conversione al cattolicesimo e di continuare segretamente a svolgere i riti e le funzioni ebraici. La grande targa, molto bella, in pregiato travertino, è stata rimossa dalla sua collocazione, assieme ai suoi due pali di sostegno e alla cornice di supporto (tutti in ferro), il 9 febbraio scorso. Merito di una pattuglia della polizia municipale di aver lanciato l’sos all’assessorato alle Manutenzioni retto da Stefano Foresi: letteralmente “mangiati” dalla ruggine nella parte basamentale, i sostegni stavano per cedere; pericolo per la pubblica incolumità quindi, immediata necessità di restauro. Un restauro, probabilmente – e si spera – a 360°: la superficie marmorea della lapide infatti presenta da molti anni vistose crepe; nell’angolo in basso a sinistra è stata oltraggiata da uno scarabocchio in vernice spray dei soliti, incivili, graffitari da strapazzo. L’Ufficio magazzino si è rivolto alla ditta “Galeazzi lapidi” di Tavernelle per un preventivo, ditta che compirà un sopralluogo nel deposito questa settimana per decidere il da farsi. Una piccola spesa (quantificabile in 1000-1500 euro) per rimettere completamente a nuovo una preziosa testimonianza legata ad una delle pagine più vergognose della memoria storica del capoluogo marchigiano. “In memoria (…) di una cieca persecuzione che risuona come monito perenne contro ogni forma di discriminazione negatrice dei principio della dignità umana e di rispetto dell’uno per l’altro su cui si fonda oggi come ieri la civiltà della ragione e della tolleranza”. Così recita una parte del testo inciso sull’opera; parole dettate da Giovanni Spadolini, all’epoca senatore a vita oltre che autorevole storico. Un monito attualissimo, purtroppo ancora oggi.

Foto Silvia Breschi

Ma chi erano i marrani? In spagnolo “marranos”, porco, termine che a sua volta deriva probabilmente dall’arabo “mahram”, che significa “cosa proibita”, erano ebrei sefarditi (della penisola Iberica) che fin dal tardo Medioevo vennero costretti, il più delle volte con la forza e le minacce, a rinnegare la loro fede e ad abbracciare quella in Cristo. Già perseguitati nel XIV secolo, in Spagna divennero veri e propri nemici pubblici – qualora rifiutassero una reale e fattiva conversione – all’indomani dell’istituzione dell’Inquisizione (1481). La persecuzione dei marrani si intensificò nel XVI secolo a seguito della nascita dell’Inquisizione anche in Portogallo, dove i primi furono espulsi già nel 1496. Ad Ancona,nel 1556, vivevano ben 3.000 ebrei marrani (portoghesi, secondo alcune fonti”, “esuli di Spagna”, secondo la lapide di piazza Malatesta). L’anno prima papa Paolo IV aveva ordinato che tutti i marrani venissero in ogni caso imprigionati. Sessanta di quelli anconetani, che riconobbero la fede cattolica come penitenti, vennero deportati a Malta o condannati a remare nelle navi; 24, che non vollero “riconciliarsi” e restarono fedeli al ritorno al giudaismo, furono prima strangolati e poi bruciati al rogo nel Campo della Mostra (così si chiamava piazza Malatesta) affollato di gente; quelli che sfuggirono all’Inquisizione vennero accolti a Pesaro dal duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere. Il porto di Ancona e di conseguenza l’economia della città pagarono un duro prezzo per quella spietata oppressione e brutale esecuzione. I capi, molto influenti, delle comunità ebraiche note per i loro importanti traffici commerciali di vari Paesi, boicottarono lo scalo dorico, e ne decretarono un fermo e generalizzato boicottaggio sotto la regia di Grazia Nasi, una delle donne ebree più ricche del Rinascimento. La parte iniziale della lapide di piazza Malatesta contiene anche una sintetica memoria in ebraico. Si auspica che il suo riposizionamento, una volta restaurata dal Comune, avvenga al più presto. E che inneschi un iter virtuoso per l’approvazione di un piano di restauro delle altre lapidi di significato storico, presenti nel tessuto urbanistico cittadino, che per la maggior parte versano in uno stato pietoso.

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