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Marlene Kuntz, trent’anni di carriera
cercando nuove strade del rock:
«È il nostro linguaggio»

L'INTERVISTA - Il gruppo formatosi nel 1990 sarà un altro dei protagonisti de "La Mia Generazione Festival" con due appuntamenti sui generis, la sonorizzazione dal vivo di due pellicole mute degli anni '20-'30. «Ci sarà molta improvvisazione. Negli anni abbiamo diversificato la nostra attività, confrontandoci con arti diverse per trovare nuovi stimoli, ma l'approccio alla musica non è cambiato: diamo sempre il massimo e cerchiamo di sorprenderci e dire quello che non abbiamo detto ancora»

 

di Agnese Carnevali

Dieci dischi all’attivo dal debutto del 1990. Protagonisti del decennio d’oro del rock indipendente nostrano ed ancora in prima linea sulla scena musicale italiana, esplorando nel tempo modi diversi di fare musica, ma sempre senza rinnegare le origini, confrontandosi anche con altre arti, tra cui il cinema. È proprio dall’incontro con la settima arte che nasce lo spettacolo che i Marlene Kuntz proporranno a “La Mia Generazione Festival” (dal 13 al 16 settembre alla Mole di Ancona). Un doppio appuntamento, venerdì 14 e sabato 15, allo Spazio Cinema della Mole, alle 23:45, quando la band composta dal chitarrista Riccardo Tesio, dal batterista Luca Bergia e dal cantante e chitarrista Cristiano Godano, sonorizzerà, rispettivamente, le pellicole mute La poesia della scienza di Jean Painlevé e La signorina ElseMai prima d’ora, la band era stata invitata a performare nello stesso luogo in due giorni diversi, le due opere.

Cosa vi ha convinto ad accettare l’invito a “La Mia Generazione Festival”? A rispondere per il gruppo è Luca Bergia.

«Determinante è stato il coinvolgimento di Gio (Mauro Ermanno Giovanardi, direttore artistico del Festival, ndr) con il quale abbiamo condiviso parte di quella scena musicale del rock italiano degli anni ’90, un periodo fertile a livello etico ed estetico, nonché il fatto di essere ospiti del suo ultimo disco “La Mia Generazione”. Il progetto di Ancona ci è parso subito interessante perché, come è stato illustrato, non vuole essere uno sguardo nostalgico verso quegli anni, ma il modo di piantare un seme di buon auspicio per il futuro, per sviluppare cose nuove. che possano avere, fertile a livello etico ed estetico».

Non guardare al passato, ma proiettarsi nel futuro, per questo ad Ancona proporrete questa nuova doppia performance di sonorizzazione di film muti?

«In quasi trent’anni di attività abbiamo imparato a diversificare la nostra produzione artistica. È bello confrontarsi con altre arti, il mondo del  teatro e della danza e in questo senso, da circa dieci anni abbiamo iniziato questa esperienza della sonorizzazione dal vivo di pellicole mute degli anni ’20 e ’30. La prima serata proporremo una pellicola di un documentarista francesce, pioniere della cinematografia subacquea. Le immagini sono frutto dei primi decenni del ‘900 e la tecnologia ovviamente non era quella odierna, per cui le immagini hanno un fascino tutto particolare e direi unico. Immagini quasi surreali, oniriche, psichedeliche, un mondo nel quale ci sentiamo a nostro agio tanto da sentirci in grado di dare un senso nuovo ad un girato che quasi un secolo fa aveva un significato diverso e ben preciso. La seconda pellicola, La signorina Else, è del ’28: una storia ambientata nell’Austria del primo Dopoguerra, dove la giovane figlia di un avvocato si trova a dover affrontare il disastro economico del padre ed è costretta a chiedere aiuto ad un amico di famiglia che però pretende, in cambio del suo aiuto, un un sacrificio troppo grande per lei. Non vi dico quale perché lo scoprirete vedendo il film. Anche in questo caso le immagini sono spettacolari, soprattutto immaginando gli anni in cui è stato pensato e soprattutto montato. Noi siamo a servizio di queste immagini, conosciamo la drammaturgia, conosciamo la sceneggiatura dei film, ma sostanzialmente improvvisiamo. Abbiamo un canovaccio di tonalità che seguiamo ma con un ampio margine. Diciamo che è un approccio più simile al jazz che non al rock, ma il fatto di suonare insieme da così tanti anni ci consente di avere un’empatia, una sintonia che fa sì che tutto funzioni e che il film voli».

È assodato che gli anni ’90 siano stati un decennio vitale e fertile per il rock italiano, oggi qual è lo stato di salute di questo genere e della musica italiana in generale? Il rock è morto?

«Finché esisteranno i gruppi che sono in grado di accendere e scuotere l’ascoltatore, il rock mantiene la sua forza. E ce ne sono. Forse non in Italia, per diversi motivi, primo fra tutti perché l’Italia culturalmente non è un paese rock. Certo in questi ultimi anni c’è stato, almeno dal mio punto di vista, un appiattimento su discorsi meno impegnati, più pop, che hanno portato il pubblico in questa direzione, ma questi sono discorsi anche di managing. Certo i talent hanno contribuito a questa che io definisco distorsione. Si spera che una manifestazione come “La Mia Generazione” serva anche a far conoscere un mondo sconosciuto ai più, al di là dei singoli nomi dei vari artisti. E di far conoscere anche questo mondo ad un pubblico giovane, più abituato alle cose che vengono passate in radio o che si trovano sul web».

In quasi trent’anni di carriera com’è cambiato il vostro approccio alla musica?

«Come dicevo, abbiamo diversificato la nostra attività, ma l’approccio è sempre lo stesso: quello che facciamo cerchiamo di farlo al meglio di noi stessi, cercando di dare il massimo. Il confronto con arti e mondi diversi dal nostro sono utili anche per avere nuovi stimoli artistici. Quando siamo in sala prove buttiamo le mani da qualche parte e cerchiamo di sorprenderci, di dire le cose che non abbiamo detto nei dischi precedenti. I nostri dieci dischi sono un modo di dimenticare quello che è stato, senza rinnegarlo, cercando strade nuove nel rock che è il nostro linguaggio».

 

 

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