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«Mia nipote autistica non può tornare
in istituto dopo il lockdown»

OSIMO - La vicenda della 19enne resa nota dalla zia con un post sui social media per chiedere aiuto alle istituzioni. «Quello di Recanati è l'unico centro nelle Marche che offre accoglienza a ragazze con gravi patologie come quella di Leila. Mia sorella e suo marito non possono trasferirsi fuori regione e neanche pagare di tasca propria personale specializzato per tante ore al giorno»

La mamma e Leila

 

L’autismo le è stato diagnosticato a 3 anni. Oggi ne ha 19 e per volontà dei suoi genitori, durante il lockdown, a marzo, ha lasciato l’istituto di Recanati che l’ospitava per trascorrere in famiglia, ad Osimo, i mesi più duri dell’emergenza sanitaria. Ora l’istituto non vuole più farla rientrare in comunità. «Si sono rifiutati di riaccoglierla, dicono che è diventata grave, che non dorme mai, che è obesa e che non c’è una terapia medica ritenuta giusta per i loro standard e che dunque la comunità non poteva riprendere» racconta Miriam Brandoni, la zia di Leila che ha reso pubblica ieri la vicenda della ragazza osimana, con un post pubblicato sui social media. «Durante la quarantena la mamma, mia sorella, ha scelto come avrebbe fatto ogni madre di tenerla a casa anziché in istituto, dove risiede da tanti anni, per paura dell’incognita di quello che sarebbe successo di fronte ad un evento nuovo, inaspettato e pauroso oltre che gravemente infettivo del Covid 19».

La famiglia ha affrontato da sola le difficoltà cercando di tornare a lavoro al contempo offrendo assistenza alla ragazza. «Leila non ha scelto di nascere autistica e vorrebbe davvero tanto poter andare a scuola come i suoi coetanei di Osimo. La mamma sta malissimo, sono 7 mesi che non dorme nè di giorno nè di notte e l’unica speranza che aveva finora era quella di resistere e lottare per arrivare finalmente al 1 ottobre e, finalmente, cercare di tornare alla “normalità” con la ripresa di sua figlia in istituto– aggiunge la zia – Quello è l’unico centro nelle Marche che offre accoglienza a ragazze con gravi patologie come quella di Leila e di certo mia sorella e suo marito non possono trasferirsi fuori regione e neanche pagare di tasca propria personale specializzato per tante ore al giorno» ha spiegato Miriam Brandoni rivolgendosi alle istituzioni per chiedere il necessario sostegno e «rispetto per le persone che soffrono e collaborazione da parte di chi gestisce la cosa pubblica e che dovrebbe proteggere i più deboli».

Il vice sindaco di Osimo, Paola Andreoni chiarisce che «la situazione di Leila è conosciuta da anni dai Servizi sociali del Comune di Osimo. Nell’attuale circostanza, visto il perdurare del non reinserimento post Covid presso l’istituto di Recanati, Proprio nella giornata di venerdì il servizio comunale ha proposto alla famiglia -che ha accettato di buon grado e ringraziato il servizio per l’interessamento -un sostegno domiciliare giornaliero affinché la mamma di Leila possa andare tranquillamente al lavoro. Tale situazione, oltre ad essere conosciuta da anni dai Servizi sociali del comune, e in carico alla Umea servizio sanitario pubblico per la disabilità adulta». L’assistente domiciliare, però, può aiutare la famiglia solo per poche ore al giorno.

Spende parole di solidarietà per i genitori e per Leila anche Michela Staffolani, portavoce di Fdi Osimo. «La mamma con figlia autistica, non avendo più spazio nell’unica struttura marchigiana che la poteva ospitare, non può tornare al lavoro però perché i Servizi sociali non mettono a disposizione l’assistenza domiciliare negli orari in cui è stata richiamata al lavoro. La beffa più grande? La signora lavora alla Asso, altra società partecipata del Comune – mette in evidenza la Staffolani – In pratica, nonostante poco prima del lockdown si sia assunta una dipendente le cui mansioni sono quelle di coordinamento tra Comune ed Asso, non si riesce a far combaciare gli orari di lavoro della signora con quelli di copertura dell’assistenza domiciliare. Se è vero che il Comune non può fare molto per il reinserimento della ragazza in istituto, ha il dovere di aiutare la mamma a riprendere il lavoro».

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