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Le ceneri dell’Etna rilevate
dalle centraline dell’Arpam

ANCONA - Il fenomeno registrato tra il 24 e il 27 febbraio scorsi in concomitanza della ripresa eruttiva del vulcano, ha amplificato l'effetto inquinamento andando ad aggiungere alle polveri sahariane spinte dai venti su tutto il centro-sud Italia e alle Pm10

Le ceneri dell’Etna riprese in un vetrino di aerobiologia studiato all’Arpam

 

 

Nelle scorse settimane, le quattro centraline di rilevamento del particolato aerobiologico dell’Arpam hanno evidenziato, assieme a quelle giallo-aranciate tipiche delle polveri desertiche, la presenza di particelle carboniose riferibili a ceneri provenienti dalla recente eruzione dell’Etna. «Il fenomeno di trasporto a lunga distanza delle polveri sahariane, – come riporta il sito dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale – legato a particolari condizioni meteoclimatiche e riscontrato più volte negli anni nel nostro territorio (vedi articolo), nei giorni 24 e 25 del mese di febbraio è stato accompagnato da presenza di particolato di tipo carbonioso aerodisperso ipotizzabile come proveniente dalle ceneri dell’Etna, che proprio in quei giorni aveva ripreso l’attività eruttiva. I vetrini di aerobiologia hanno evidenziato il fenomeno non solo nelle Marche, ma in diverse regioni italiane, con una prevalenza di quelle del nord, e in Sardegna. L’eruzione dell’Etna, la più grande emissione di anidride solforosa (SO2) dell’Etna per quel che riguarda il recente passato, ha emesso in atmosfera decine di Kilotoni di tale sostanza; i venti spiranti nel catanese, prevalentemente di scirocco, hanno determinato lo spostamento di particelle carboniose e la caduta di cenere anche in altre città siciliane e hanno via via interessato il centro-sud dell’Italia, principalmente la Sardegna, il Lazio, la Toscana, l’Emilia Romagna e l’Umbria. Quantità più scarse si sono spinte anche nelle altre regioni centrali, tra cui anche nelle nostre Marche, come dimostra il rilevamento di particelle carboniose ritrovate nelle centraline. Nei giorni successivi, pur permanendo il susseguirsi di eruzioni, l’anidride solforosa emessa dal vulcano ha viaggiato verso est stante il disporsi dei venti dai quadranti occidentali, tanto da raggiungere anche parte dei Balcani». Le Pm10 ad Ancona – zona stazione ferroviaria – hanno raggiunto il picco di 223 µg/mü , alle ore 20 del 27 febbraio. La centralina ha fatto registrare il valore giornaliero più alto nel periodo con 115 µg/mü. Si tratta ovviamente di un fenomeno ad alte quote «che non ha, o ha scarsamente, ripercussioni al suolo; un fenomeno certo curioso – sottolinea l’Arpam – ma non così strano, se basta ricordare che, in caso di eruzioni potenti, le nubi vulcaniche riescono a raggiungere anche i 12-13 km di altezza, penetrando parte della stratosfera, mentre i forti venti che spirano in queste zone (oltre 250 km/h) riescono a trasportare minuscole particelle di fumo per centinaia e migliaia di chilometri. L’analisi delle traiettorie mostrata nell’immagine a sinistra è stata elaborata con un modello di trasporto e dispersione di particelle Hysplit della Nooa, mentre le foto dei vetrini aerobiologici, ottenute al microscopio ottico presso il Centro di Aerobiologia di Ascoli Piceno dell’Arpam, mostrano come le masse di aria cariche di particelle carboniose, nella giornata del 25 febbraio, abbiano investito l’intera Regione Marche».

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