«La mia esperienza nella Striscia di Gaza:
oggi rivivo la tensione di allora,
per la pace bisogna guardare al futuro»

L'INTERVISTA a Claudio Fiori, maggiore dei carabinieri, che dal 2005 al 2007 fu executive chief della missione europea. L'ufficiale racconta come visse l'apertura del valico di Rafah («era una porta verso il mondo per il popolo palestinese»), poi le elezioni in cui Hamas ottenne la maggioranza e il rapimento di Gilad Shalit che riaccese le tensioni: «Ciò che accade oggi mi fa rivivere quei momenti, l'unico modo per affrontarli è non lasciarsi prendere dagli istinti di pancia, non rispondere con azioni a provocazioni»

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Il maggiore Claudio Fiori con l’autorità palestinese

di Alessandra Pierini

Il valico di Rafah, frontiera internazionale tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, è in questi giorni sotto i riflettori di tutto il mondo. Rappresenta in questo momento l’unica via di speranza, più che di salvezza, per uscire da quel lembo di terra in cui, per l’ennesima volta nella storia, si abbatte una guerra senza tempo.

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Controlli al valico di Rafah

Diciotto anni fa, ad aprire il valico di Rafah nell’ambito di una missione di pace europea, c’era anche un contingente dei carabinieri. A guidarli quale capo della Missione europea il generale Pietro Pistolese, al suo fianco il maggiore Claudio Fiori che, oggi, in una situazione che ogni giorno dispensa orrori, violenza e restituisce la rabbia accumulata per secoli, ha le idee chiare su quale sia l’unica via da percorrere per fermare la guerra: «La chiave di volta è avere lo sguardo al futuro. Troppo spesso si guarda al passato, a chi ha scatenato cosa, chi ha provocato e chi ha risposto. Oggi occorre guardare al futuro, il passato porta rancore, rimpianto e trovare la pariglia del conto non è la strada per ritrovare il benessere dei due popoli».

Marchigiano, nato a San Benedetto del Tronto, il maggiore Fiori dal 2007 al 2010, ha guidato la stazione dei carabinieri di Macerata, reparto in cui ha ricoperto il ruolo di comandante. Molteplici gli incarichi svolti nell’arco della carriera nei carabinieri, dal Nucleo Operativo e radiomobile, fino al Comando Legione, dove ha svolto incarichi di Stato Maggiore, per poi raggiungere il Quirinale, dove per cinque anni ha prestato servizio nell’Ufficio affari militari del segretariato generale della Presidenza della Repubblica. Ha avuto anche un incarico di rilievo europeo, impiegato per tre anni all’Unione Europea Occidentale a Bruxelles, quale capo ufficio Comando del quartier generale della missione Mape operante in Albania. Nel corso della sua carriera ha preso parte a numerose ed importanti missioni all’estero, in diversi Paesi tra cui Cambogia, Bosnia-Erzegovina, Iraq, Cisgiordania e Israele, contesti in cui è stato impiegato nelle fasi più sensibili e complesse di apertura e chiusura di alcune missioni. Nel 1997 ha ricevuto la Medaglia d’Argento al Valore Militare per aver salvato, a rischio della propria vita, due poliziotti musulmani aggrediti durante un attacco terroristico alla pattuglia che capeggiava. Quel suo gesto servì ad evitare che si riaccendesse il conflitto tra le fazioni in lotta.

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La visita di Abu Mazen

Nella Striscia di Gaza il maggiore Fiori arrivò nel 2005 e rimase fino al 2007. «Ero executive officer della missione dell’Unione Europea Border Assistance Mission Rafah, lanciata dal Consiglio dell’Ur nel novembre 2005, l’Eubam Rafah, concepita come la presenza di “terza parte” dell’Ue presso il Valico di Frontiera di Rafah, sul confine tra Gaza e l’Egitto, secondo gli accordi del 15 novembre 2005: un protocollo di “Accordi sui Movimenti e Accessi”, raggiunto dal governo israeliano e l’Autorità Palestinese per i principi di funzionamento del punto di frontiera – racconta – All’epoca, il governo israeliano, in accordo alla road map per la pace, con un Piano di disimpegno unilaterale israeliano, dispose l’evacuazione della popolazione negli insediamenti israeliani dalla Striscia di Gaza e lo smantellamento delle colonie che vi erano state costruite. Lo sgombero della striscia terminò il 22 agosto, con il trasferimento delle ultime famiglie, ed il 12 settembre 2005 tutto il territorio della striscia di Gaza passò in mano palestinese, e gli abitanti ebbero accesso alle aree che erano state loro precedentemente vietate. La missione Eubam Rafah venne inaugurata il 25 novembre, dieci giorni dopo gli accordi israelo-palestinesi, e in questo breve periodo, nonostante le notevoli difficoltà, riuscimmo ad aprire il valico e a garantire una operatività ridotta nei primi giorni e poi sempre più estesa. Il ruolo della missione era quello di monitorare, assistere, verificare e valutare il modo di lavorare dei poliziotti dell’Autorità Palestinese, l’immigrazione, la sicurezza e i doganieri che svolgevano tutto il lavoro nel terminal di Rafah.».

Al di là della mera apertura e circolazione di persone e merci, l’apertura del valico di Rafah nel 2005 significava molto di più: «L’apertura del valico – spiega – rappresenta una porta sul mondo. È stata una esperienza unica che ha dato ad un popolo l’opportunità di poter gestire i propri movimenti verso il mondo, di aprirsi a nuove relazioni e commerci. Ha restituito la possibilità di libero movimento ad oltre due milioni di persone. Essere lì e vedere tanti appartenenti al popolo palestinese emozionati e raggianti per quello che stava accadendo con quella nuova opportunità dava anche a noi la sensazione di essere unici».

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I carabinieri della missione europea nella Striscia di Gaza

Nel 2006 però, alle elezioni legislative per il rinnovo dell’Autorità Nazionale Palestinese Hamas ottenne la maggioranza dei voti. ma poiché l’Unione Europea, ed allo stesso modo gli Stati Uniti d’America, consideravano Hamas un’organizzazione terroristica, interruppero l’invio dei loro aiuti ai territori palestinesi, continuando tuttavia a mantenere rapporti con l’unica Autorità Nazionale Palestinese riconosciuta nella persona di Mahmud Abbas, più conosciuto come Abu Mazen, uno dei fondatori di Al-Fatah. «L’Unione Europea e la comunità internazionale – ricorda il Maggiore Fiori – riuscirono ad ottenere attraverso il governo israeliano e l’Autorità Palestinese delle operazioni straordinarie per il valico di frontiera, garantendone l’apertura e l’operatività, poi però accadde che, come oggi, le tensioni presero il sopravvento e da una situazione di relativa normalità, si passò al crepitare delle armi e ai missili».

Il 25 giugno 2006 Gilad Shalit, militare israeliano con doppia cittadinanza francese e israeliana venne rapito da un commando di militanti di Hamas che condussero un attacco contro una postazione militare in territorio israeliano, raggiunta attraverso il confine meridionale della striscia di Gaza grazie ad un tunnel sotterraneo lungo circa tre chilometri scavato tra i sobborghi di Rafah e la zona di Kerem Shalom. Durante l’assalto rimasero uccisi due soldati israeliani ed altri quattro feriti. Il 26 giugno 2006 gli autori della cattura di Shalit emisero un comunicato offrendosi di fornire informazioni sul soldato prigioniero qualora Israele avesse acconsentito a liberare tutti i prigionieri minori di diciotto anni e quelli di sesso femminile. Sarà liberato 5 anni dopo.

DSCN0177-325x244«La situazione – ricorda l’ufficiale dei carabinieri – si fece molto tesa. Iniziarono subito i bombardamenti. Ciò che accade oggi riporta alla mente la tensione di allora ma con una maggiore complessità. Basti pensare che gli ostaggi sono oltre 200 e per ognuno di loro ci sono dei familiari disperati e forti pressioni sul governo israeliano. L’unico modo per affrontare questi momenti è non lasciarsi prendere dagli istinti di pancia, non rispondere con azioni a provocazioni. Mi auguro che, anche in questa fase così complicata, prevalga il ragionamento volto alla tutela della vita delle persone, sia alla sicurezza del popolo israeliano e sia di quello palestinese, e a considerare bene le successive attività da svolgere. La maggioranza degli abitanti di quelle zone vorrebbero vivere tranquillamente, molti abitanti di Gaza ad esempio lavoravano in Israele. La risposta ad Hamas dovrebbe essere a livello internazionale, perché spesso nascere o vivere in quelle circostanze predispone ad accettare la veicolazione di chi soffia su correnti estreme, e questo non porta da nessuna parte. La chiave è la visione al futuro, attraverso il dialogo e la conciliazione creare un ponte di incontro per la serenità di entrambe le parti, con due popoli e due Stati».

DSCN0178-325x244LO SCONTRO TRA ISRAELE E PALESTINA – Non c’è una data, né un episodio specifico che sancisce l’inizio delle ostilità tra Israele e Palestina. se si guarda al passato si può andare indietro nel tempo di secoli e secoli fino ad arrivare alla Bibbia, o meglio all’Antico testamento quando si parla dei Filistei, popolazione stabilita sulle coste della Palestina, nota per le lunghe e accanite lotte combattute con gli Ebrei.  L’inizio del conflitto odierno viene fattor risalire dai più al 1947 quando, in seguito al fallimento del Piano di Ripartizione dell’Onu per la divisione in due Stati, uno ebraico e uno arabo, iniziarono gli scontri tra gruppi armati ebraici e palestinesi. Nel 1948 nacque lo Stato d’Israele e l’anno seguente iniziò l’esodo dei palestinesi, noto come Nakba: 700mila palestinesi vennero espulsi o fuggirono, gli arabi che scelsero di restare furono limitati nei diritti. Nel 1964 nacque l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina sotto la guida di Yasser Arafat. L’obiettivo è fondare uno Stato arabo al posto di Israele. Si arriva al 1967 e alla guerra dei sei giorni: Israele, temendo una invasione, occupò i territori palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza, oltre alla penisola del Sinai. Nel 1987 la prima Intifada, rivolta dei giovani a cui Israele rispose con numerosi arresti. nello stesso anno nacque Hamas.
IMG_0147-325x244Risale al 13 settembre 1993 la stretta di mano tra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e Arafat. L’accordo prevedeva la fondazione dell’Autorità nazionale palestinese garantendo un autogoverno nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Tra gli israeliani, l’opposizione politica a Oslo fu guidata dai futuri primi ministri Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu. Nel 2000 gli accordi di pace di Camp david fallirono  e scoppiò la seconda Intifada, ancor più sanguinosa sia per gli attentati suicidi di Hamas contro i civili israeliani che per la ritorsione militare israeliana. Arriviamo così agli anni in cui il maggiore Claudio Fiori ha vissuto in prima linea, direttamente dalla Striscia quelle vicende, allora di cronaca, oggi pagine di storia, col fallimento della Road map for Peace  e il governo affidato ad Hamas, ancora oggi al comando.

 

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