La posa di una pietra d’inciampo rappresenta un gesto simbolico di commemorazione e di memoria per le vittime della persecuzione nazifascista. Queste pietre, collocate in luoghi significativi legati alla vita delle persone ricordate, servono la causa della memoria per sensibilizzare le nuove generazioni sui crimini compiuti nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, con un messaggio sempre valido anche per il presente e il futuro. «Nel caso di Bruno Liberti, la pietra d’inciampo non solo ricorda la sua vita e il suo sacrificio, ma rappresenta anche un atto di riconoscimento del valore della resistenza dei militari italiani dopo l’8 settembre sia tra le fila delle formazioni partigiane sia dietro reticolati di filo spinato. La sua storia, breve, segnata da una vita di studio, servizio militare e infine la scelta di opporsi al regime fascista, è emblematicamente riconosciuta attraverso la posa di questa pietra» spiega una nota dell’Anpi Osimo.
Nato in Argentina il 14 gennaio 1913 da famiglia osimana, Bruno Liberti è cresciuto tra Osimo ed Offagna. Era di famiglia benestante, tanto che il padre Eugenio e la madre Teresa gli consentirono di poter proseguire gli studi universitari a Bologna per diventare insegnante. Partecipò alla Campagna d’Africa e alla battaglia dello Scirè, ottenendo anche due croci di guerra: della sua esperienza coloniale tenne anche una conferenza al Campana. Apparteneva al corpo dei Granatieri di Sardegna e fu inviato in Slovenia con l’aggressione italiana alla Jugoslavia. Poco edificanti furono le azioni compiute in quel territorio: fascistizzazione forzata, massacro di civili, deportazioni, isolamento della città di Lubiana che fu circondata da 30 km di filo spinato dal febbraio al dicembre 1942. Fu solamente con l’8 settembre che anche Liberti poté compiere la sua scelta in libertà e, rientrato in Italia, si schierò a favore della Resistenza. Tuttavia, nel dicembre del ’43 venne arrestato a Bologna e rinchiuso in carcere, fu in seguito trasferito al Campo di transito di Fossoli (Mo). Venne prelevato assieme ad altri 66 deportati politici e militari il 12 luglio del ’44 alle prime luci dell’alba e fucilato nel vicino poligono di tiro. Il suo corpo, così come quelli di molti altri, risultò sfigurato, essendo stato sommariamente occultato in una fossa comune, fu poi riconosciuto, a guerra conclusa, dalla lettera di ringraziamento che aveva in tasca firmata dal vescovo di Lubiana che gli dimostrava la sua gratitudine per aver salvato il nipote dai nazifascisti.
La pietra è stata donata dalla Fondazione Fossoli e dall’Aned di Milano con il coinvolgimento di 36 comuni italiani, evidenziando così un legame collettivo e nazionale con la memoria della strage del 12 luglio 1944. La Pietra sarà incastonata nei pressi dell’ultima abitazione di residenza di Liberti: appuntamento sabato 15 febbraio alle ore 11 in via Saffi di fronte la Stazione dei Carabinieri. In caso di pioggia la cerimonia si terrà nel vicino circolo Anteas
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