Uncem Marche: «Dissesto
idrogeologico, senza interventi nelle aree
interne non si proteggono le coste»  

ANCONA – Alla luce del Rapporto Ispra 2024  che ha censito oltre 39.000 frane nella nostra regione, il presidente Giuseppe Amici e il vice Giancarlo Sagramola propongono «un cambio di paradigma nella gestione del territorio». Servono strategie da applicare della costa e politiche per l'entroterra, ragionando non per confini amministrativi ma per bacini idrografici. E accanto alle opere strutturali occorre puntare sulle soluzioni basate sulla natura:  riforestazioni,  rinaturalizzazione degli alvei,  gestione forestale attiva  

Una frana (Archivio)

 

Frane, alluvioni, erosione: nelle Marche il dissesto idrogeologico è una realtà, non un’emergenza occasionale. «Il Rapporto Ispra 2024 fotografa una situazione senza zone franche: tutti i Comuni marchigiani presentano aree a rischio frana o alluvione. In totale, sono state censite oltre 39.000 frane (dati Inventario Iffi), e circa 1.693 chilometri quadrati, pari a oltre il 18% del territorio regionale, rientrano nelle categorie di pericolosità da frana elevata o molto elevata (P3 e P4). In queste aree vivono più di 31.000 persone, esposte direttamente a fenomeni che possono compromettere case, infrastrutture e interi centri abitati. Ma il pericolo non si ferma alle aree interne. Sulle coste, ampi tratti di litorale soffrono di erosione, un problema aggravato dal calo dell’apporto solido proveniente dai bacini montani e collinari. Meno materiale arriva al mare, più le spiagge si assottigliano e gli effetti delle mareggiate diventano devastanti». A spiegarlo sono Giuseppe Amici presidente di Uncem Marche e Giancarlo Sagramola, vicepresidente Uncem Marche.

Giuseppe Amici

In questo scenario, diventa sempre più chiaro che il dissesto idrogeologico nelle Marche non è un problema settoriale o confinato geograficamente, ma un fenomeno sistemico. «Il rapporto tra aree interne e fascia costiera non è soltanto topografico: è profondamente simbiotico.- sotolinenao i due amministratori Uncem – Le condizioni ambientali e idrologiche dell’entroterra influenzano direttamente la stabilità dei litorali e viceversa. La mancata gestione del suolo nelle zone montane e collinari può determinare un sovraccarico dei fiumi, provocando esondazioni nei tratti terminali e accelerando i processi erosivi lungo la costa. Allo stesso modo, la fragilità delle infrastrutture interne può compromettere la tenuta dell’intero sistema territoriale, dal crinale al mare. La ricetta? Un cambio di paradigma nella gestione del territorio».

Giancarlo Sagramola

Serve coordinare Piani di Assetto Idrogeologico, strategie di gestione della costa e politiche per le aree interne, ragionando non per confini amministrativi ma per bacini idrografici. Ai piccoli Comuni delle aree interne, spesso privi di mezzi e personale tecnico, vanno garantite risorse stabili e competenze condivise. E accanto alle opere strutturali, occorre puntare sulle soluzioni basate sulla natura: riforestazioni, rinaturalizzazione degli alvei, gestione forestale attiva. «I dati Ispra – evidenzia Giuseppe Amici, presidente di Uncem Marche – confermano ciò che vediamo ogni anno: le aree interne non sono un “altrove” da dimenticare, ma il primo argine naturale contro frane, alluvioni ed erosione. Se si abbandonano montagna e collina, si condannano le pianure e le coste a pagare il prezzo più alto. È necessario un cambio di passo nella prevenzione e nella gestione del territorio». «Il rapporto sistemico – aggiunge Giancarlo Sagramola, vicepresidente Uncem Marche – tra aree interne e costa è evidente: un dissesto a monte provoca un danno a valle, spesso a chilometri di distanza. Per proteggere le spiagge e i porti, bisogna curare boschi, alvei e versanti. Le Marche hanno bisogno di una strategia unica, che parta dai crinali e arrivi fino al mare, unendo competenze, risorse e volontà politica».

 

 

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