di Nicoletta Paciarotti
Il Pronto Soccorso del Carlo Urbani cambia passo. Non nei codici o nei protocolli, ma in quella zona sospesa che spesso pesa più della cura stessa: l’attesa. Da ottobre entrerà in servizio una nuova figura, il facilitatore, che avrà il compito di fare da ponte tra medici, pazienti e familiari. Il progetto si chiama “Camici Amici” ed è promosso dal Tribunale del Malato.
A raccontarne la genesi è il dottor Pasquale Liguori: «I codici bianchi e verdi passano lunghe ore senza sapere quando verranno visitati. Gli anziani restano anche per ore allettati in attesa di un posto. Tutti hanno un disperato bisogno di informazioni. Così abbiamo deciso di creare una figura che facesse da cuscinetto tra il pubblico e i sanitari, spegnendo sul nascere tensioni e nervosismi».
La nuova funzione sarà affidata ai giovani del servizio civile, formati per gestire un compito delicato. Il Facilitatore sarà una figura dedicata esclusivamente all’accoglienza e alla comunicazione, facilmente identificabile grazie a una pettorina con la scritta “Chiedi a me”. Il suo compito sarà quello di informare, rassicurare, dare conforto e fare da tramite tra operatori sanitari e familiari, riducendo così disagi e incomprensioni. La formazione del Facilitatore prevede esercitazioni, role-playing, analisi di casi ed elaborazioni guidate con supporti multimediali. Gli obiettivi: imparare a gestire le richieste dei familiari, sviluppare capacità di ascolto, prevenire situazioni conflittuali e migliorare la qualità della permanenza in sala d’attesa.
«Purtroppo noi medici non abbiamo il tempo di occuparci di questo aspetto fondamentale – osserva Mario Caroli, primario del pronto soccorso – e quindi ben venga questa iniziativa, che ci permetterà di lavorare con maggiore serenità ed efficacia». Le prime due volontarie, due ragazze, inizieranno a ottobre dopo la formazione curata dalla dottoressa Bonomi: «Il primo passo sarà insegnare loro la capacità di ascolto. Non giudicare, ma accogliere l’ansia e la paura dell’altro». E alla fine il progetto guarda lontano, come sottolinea la dottoressa Benigni, responsabile del servizio civile: «È un tassello dell’umanizzazione delle cure. Abbiamo terapie sempre più raffinate, ma non possiamo dimenticare che si curano persone, non malattie».
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