I 50 anni del Trattato di Osimo:
Michela Ponzani riempie il teatro,
in 200 visitano la villa dove fu firmato

EVENTI – Ieri pomeriggio la docente di Storia contemporanea dell'Università di Roma Tor Vergata ha delineato il contesto geopolitico internazionale e nazionale in cui è stato siglato l’accordo il 10 novembre 1975, incastonandolo in una visione storica di più ampio respiro a partire dalla Trattato di Rapallo del 1920 fino ad oggi. Stamattina grande adesione alla prima delle Passeggiate Culturali al castello Leopardi Dittajuti a Monte Santo Pietro

La storica Michela Ponzani sul palco de La Nuova Femice con l’assessore Mauro Pellegrini

 

Le celebrazioni per il 50esimo anniversario del Trattato di Osimo hanno registrato un’ampia partecipazione di pubblico. Ieri pomeriggio, in un teatro la Nuova Fenice gremito di pubblico, la storica Michela Ponzani ha aperto gli eventi illustrando il contesto storico dell’accordo, collegandolo a eventi storici di più ampio respiro a partire del Trattato di Rapallo del 1920 con cui si ridisegnarono i confini tra Italia a Jugoslavia dopo la Grande Guerra e all’evoluzione dei rapporti tra i due Paesi fino ai giorni nostri.

 

I partecipanti alla Passeggiata culturale a Villa Leoaprdi Dittajuti

 

Grande adesione stamattina anche alla prima delle Passeggiate culturali d’autunno che ha guidato i 200 partecipanti dalla chiesa della Misericordia alla villa Leopardi Dittajuti a Monte Santo Pietro, luogo della firma del trattato. Durante il percorso sono state visitate due fonti storiche e la famiglia Leopardi Dittajuti ha aperto ai visitatori il parco della villa. L’assessore Jacopo Celentano ha sottolineato il successo dell’iniziativa, ringraziando organizzatori e la famiglia ospitante, annunciando anche il prossimo appuntamento culturale a Villa Simonetti in programma per il 14 dicembre.

 

Michela Ponzani

 

Ieri la docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tor Vergata, saggista e conduttrice tv, ha delineato il contesto geopolitico internazionale e nazionale del 1975, quando il 10 novembre fu siglato il Trattato di Osimo: la Guerra Fredda, la fragilità della Jugoslavia di Tito e la volontà dell’Italia di stabilizzare il confine orientale. Un equilibrio delicato che rendeva l’accordo un passaggio strategico sia per l’Italia sia per l’Occidente. Michela Ponzani ha ricordato come le tensioni sul confine orientale affondino le radici nelle ferite della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, tra pretese territoriali reciproche, violenze perpetrate dal fascismo sul confine orientale con l’italianizzazione forzata, repressioni e campi di concentramento come quelli di Lubiana e Arbe già dal primo dopoguerra, dal 1920, fino alla tragedia delle Foibe ad opera dei titini. Tante morti che hanno segnato l’opinione pubblica e che hanno ritardato a lungo, a livello politico, la definizione dell’accordo.

 

 

Negli anni ’60 e ’70 il contesto politico più disteso, unito ai cambiamenti in Jugoslavia e alla complessa situazione interna italiana, rese possibile la riapertura del dialogo. La diplomazia di Aldo Moro nel 1973 attivò un canale segreto con tecnici italiani e jugoslavi, tra cui Eugenio Carbone per l’Italia e Boris Šnuderl per la Jugoslavia. Colloqui che portarono poi alla stesura dell’accordo definitivo, sebbene la firma venne formalizzata per motivi politici  e internazionali solo nel 1975.

 

Villa Leopardi Dittajuti, dove il 10 novembre 1975 fu firmato il Trattato di Osimo

 

Il Trattato di Osimo fissò il confine orientale e introdusse una zona franca industriale tra Trieste e la Jugoslavia, che rinunciò alle tutele per le minoranze in Italia. La parte dal trattato, pensata come compensazione economica, fu però percepita dall’opinione pubblica triestina come una minaccia all’italianità della città, alimentando polemiche e tensioni identitarie che ancora oggi influenzano il dibattito sul confine orientale. La relatrice del convegno ha inoltre sottolineato come la memoria storica sia stata spesso oggetto di manipolazioni politiche, dando vita a una “guerra della memoria” che in questo caso, fin dagli anni ’80 ha distorto parte del dibattito pubblico. A questo si sono aggiunte negli anni ’90 e 2000, fiction televisive e prodotti mediatici che hanno contribuito ad amplificare una visione vittimistica degli italiani, minimizzando il contesto storico e mettendo in ombra tutti gli orrori perpetrati sul confine orientale. Ha evidenziato pertanto come i fatti storici, anche quelli ben documentati negli archivi, vengono a volte ignorati o negati pubblicamente da figure politiche e mediatiche, contribuendo a narrazioni distorte del passato finalizzate alla politica del presente.

 

 

La conferenza si è conclusa con una riflessione sulla crisi della diplomazia contemporanea, confrontando le foto ufficiali della tregua per Gaza firmata in Egitto e la guerra in Ucraina. La prima senza più il simbolo tradizionale della stretta di mano tra i protagonisti della guerra, che secondo la storica, evoca un mondo in cui la pace è decisa da singoli leader e non più da organismi multilaterali o dai popoli. L’altra, la guerra in Ucraina, scoppiata nel 2022, considerata uno spartiacque verso un nuovo ordine mondiale, risultato di dinamiche iniziate di fatto nel 2014 con l’occupazione della Crimea e di una narrativa russa con una visione imperialista che oggi utilizzerebbe la storia come una sorta di arma politica «che si nutre di vecchi simboli sovietici». Un esempio concreto di come la riscrittura del passato spesso sia capace di influenzare la politica internazionale oltre che l’opinione pubblica interna di un Paese.

(Redazione CA)

 

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