
Uno dei Centri per uomini autori di violenza (Cuav)
di Marco Benedettelli
Sono una parte nodale della rete di servizi strutturata per proteggere le donne vittime della furia di partner o ex partner che le picchiano o le umiliano con multiformi abusi di dominio.
I Centri per uomini autori di violenza (Cuav) sono stati ideati per avviare percorsi di trattamento psicologico, in gruppo o individuali, rivolti a chi ne fa richiesta. Si tratta di un lavoro complesso e reso ancora più difficile da risorse economiche e personale insufficienti, rispetto alla crescente domanda di trattamento che arriva quotidianamente.
E del funzionamento dei Cuav e del loro sistema di accoglienza si è tornati a parlare questi giorni, dopo il brutale femminicidio di Sadjide Muslija, la donna uccisa a Piannello Vallesina con il marito ritenuto il presunto responsabile. L’uomo, 50 anni, già condannato per maltrattamenti, stava beneficiando della sospensione della pena decisa dal giudice in virtù del suo impegno a intraprendere un percorso di cura in un Cuav, percorso che però non è mai iniziato a causa delle lunghe liste d’attesa della struttura. Nel frattempo l’uomo era rientrato a casa, a convivere con la moglie. La terapia sarebbe partita non prima della primavera. Ma la tragedia è avvenuta prima.
Lo scorso anno sono stati 120 gli uomini che hanno fatto domanda di trattamento al Cuav della provincia di Ancona, gestito dalla cooperativa sociale Polo9 e composto da un organico di sette persone tra psicologi, criminologi e assistenti sociali.
«Si tratta di un numero ben al di sopra delle capacità ricettive della struttura, ed è così che si allunga il periodo in lista d’attesa», spiega Antonella Ciccarelli, operatrice di Polo9 e coordinatrice regionale dei Cuav Marche, una rete di cinque strutture distribuite ognuna per provincia. Attualmente il centro di Ancona ha in trattamento venticinque utenti in sedute di gruppo e tre in percorsi individuali e uno in trattamento misto, mentre dieci sono in fase di valutazione. Da gennaio partirà un nuovo gruppo da quindici persone. In tutte le Marche, nel 2024, i contatti con i Cuav sono stati 321, di cui 274 presi in carico e 43 rimasti in lista d’attesa.
La domanda è aumentata sensibilmente dopo l’entrata in vigore della legge del 2019, il “Codice Rosso” che nei casi di maltrattamento o violenza subordina la sospensione della pena (inferiore a tre anni) alla partecipazione a un percorso presso un Cuav.
Una decisione che dipende dai tribunali e dalla magistratura, senza alcun coinvolgimento dei centri. «Sono pochissimi gli uomini che si presentano spontaneamente — chiarisce Ciccarelli — mentre l’80% delle domande arriva da persone che hanno patteggiato e stanno beneficiando della sospensione della pena a condizione che intraprendano un trattamento antiviolenza». È anche il caso dell’uomo coinvolto nell’ultimo fatto di cronaca nera, il cui percorso sarebbe dovuto iniziare nei prossimi mesi e che al momento del femminicidio era in lista d’attesa per i primi colloqui di orientamento, necessari a considerare l’eventuale presa in carico.
È proprio durante il colloquio motivazionale che viene effettuata una prima valutazione del rischio per le donne. Si analizza se la coppia conviva ancora, se l’uomo frequenti l’abitazione, se la vittima sia esposta a ulteriori pericoli. Vengono inoltre individuate eventuali problematiche aggiuntive, come difficoltà linguistiche, abuso di alcol o sostanze, o disturbi psichiatrici. «Se emerge qualcosa di poco chiaro — prosegue Ciccarelli — si effettua una valutazione più approfondita e si informa l’Uepe, l’Ufficio esecuzione penale esterna di Ancona, che ha in carico il soggetto».
Il percorso terapeutico dura almeno 60 ore in un anno. Per comprendere il profilo degli utenti che si rivolgono ai Cuav, si può consultare il Rapporto sulla violenza di genere della Regione Marche 2024. Gli uomini che hanno chiesto il trattamento sono soprattutto tra i 39 e i 52 anni, una fascia prevalentemente genitoriale, composta da padri che mantengono contatti con le ex partner per la gestione dei figli. È proprio in queste occasioni che possono verificarsi violenze. Nei Cuav marchigiani, il 68% degli utenti è italiano, il 6% è laureato e il 43,9% ha una licenza media inferiore. La relazione con la vittima è un dato centrale: la categoria più frequente è “coniuge” (26,3%), seguita da “ex convivente” (18,7%), “ex coniuge” (15,1%) e poi, con percentuali decrescenti, altri legami come ex fidanzati, parenti, conoscenti, colleghi, fino a casi di figli, fratelli, datori di lavoro e padri. Al termine del percorso è previsto un follow-up ogni 3 o 6 mesi per verificare eventuali cambiamenti nella vita dell’uomo autore di violenza e valutare la tenuta dei progressi ottenuti.
Chi è in sospensione della pena contribuisce con 10 euro l’ora per le sedute di gruppo e 20 euro l’ora per quelle individuali; chi accede spontaneamente non paga nulla. «Sono cifre ovviamente molto basse, sostenibili per gli enti gestori solo perché operano come imprese sociali», sottolinea Ciccarelli. I contributi ministeriali e regionali vengono utilizzati per coprire i colloqui di orientamento, le valutazioni del rischio, la formazione del personale, gli affitti delle sedi e le utenze.
Lo scorso anno i fondi destinati ai Cuav delle Marche sono stati 259.131 euro: 39.131 statali e 220.000 regionali, ripartiti per provincia in base al numero di abitanti. «Il contributo regionale è aumentato dopo la riduzione dei fondi ministeriali — precisa Ciccarelli — ma resta comunque una cifra limitata se suddivisa tra i cinque Cuav della regione. Quello di Ancona ha potuto contare su circa 80mila euro».
Nel 2024 l’investimento complessivo a sostegno dei Centri antiviolenza donna e delle Case rifugio e dei Centri per uomini autori di violenza, sempre tra fondi statali e regionali, è stato di 1.652.205,28 euro. «La maggior parte delle risorse viene destinata alla protezione delle donne, che spesso hanno anche problemi abitativi e sono più numerose, molte con figli in affido», conclude Ciccarelli. Lo scorso anno, nelle Marche, sono state 821 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza.
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