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Primi pazienti al Covid-Hospital
Malumore tra la gente di Camerino:
«Perché qui? Noi in trincea da 3 anni»

CORONAVIRUS - Tanti si chiedono se la struttura tornerà come prima dopo l'emergenza. Lorella Pettinari: «Dicono che ognuno deve fare la sua parte, ma i sacrificabili siamo sempre noi, il popolo della montagna». Paola Gerini: «All'improvviso si ricordano dell'unico presidio medico di un intero territorio». Valerio Valeriani, coordinatore dell'Ambito territoriale sociale: «Qui ci sono molti anziani, difficoltà negli spostamenti e carenza di presidi sanitari». Donatella Pazzelli: «E' il momento di fare quadrato ma anche di avere garanzie perché la somma delle disgrazie non ci lasci sempre più poveri e più soli»

 

L’arrivo di un paziente contagiato da Senigallia

 

di Monia Orazi

I primi otto malati di Coronavirus sono arrivati nella notte all’ospedale di Camerino e sono ricoverati in Rianimazione. Provengono due da Urbino e gli altri dall’ospedale di Torrette. Alle 16 è arrivato un nono malato, da Senigallia, con gli operatori dell’ambulanza vestiti con i dispositivi di protezione personale. Continuano le dimissioni dei malati ancora ricoverati nel reparto di medicina. Ma altri trasferimenti dovrebbero stasera.

Sono stati predisposti 8 posti per la fase acuta e altri 8 per la fase semi acuta. Da ieri nessuno può più entrare all’ospedale, tutti gli ingressi sono sigillati, i familiari che vogliono andare dai propri familiari per andarli a prendere devono suonare all’ingresso e dire chi sono. Per i malati di Covid è stato creato un ingresso separato, dalla porta laterale del pronto soccorso. Per un centinaio di operatori oggi ci sono stati quattro corsi di formazione su come comportarsi con i nuovi pazienti che stanno sostituendo quelli ordinari. Fuori dall’ingresso dei cartelli avvertono del cambiamento, per le risposte degli esami medici ci si deve rivolgere a San Severino, per le emergenze diabetologiche a Matelica. La guardia medica è stata spostata nell’edificio del distretto non lontano dal nosocomio. Da stamattina un via vai di persone, gente che esce andando a prendere i familiari, persone che suonano per chiedere una risposta ai loro esami. Nel pomeriggio un uomo che ha subito un intervento chirurgico si presenta per un controllo e gli viene risposto che il reparto è stato evacuato. Per tutta la giornata c’è un via vai di ambulanze, ancora si continua il trasporto dei degenti da Camerino, verso San Severino e Macerata. C’è malumore per questa decisione che ha trasformato l’ospedale in centro di riferimento per il Covid per l’area vasta 3.

«La responsabilità morale di tutto sarà di chi ha votato la delibera di giunta. E’ stata presa una decisione contro chi sta in trincea da ormai oltre tre anni» dice il camerte Luciano Antonini. Predominano sentimenti di scoramento nella commerciante camerte Lorella Pettinari: «Ci dicono che siamo in guerra. Lo sappiamo che siamo in guerra, oramai da 3 anni e mezzo, avranno pensato che siamo guerriglieri di professione, ma oramai noi siamo stremati. Dicono che ognuno deve fare la sua parte, ma i sacrificabili siamo sempre noi, il popolo della montagna. Poca gente, poca forza economica, poca forza politica. Siamo “i vecchi” del Coronavirus, quelli che in guerra, possono essere sacrificati, per salvare gli altri più giovani. La scelta logica. E così, si decide che l’ospedale da smantellare sia il nostro. Avremo la possibilità di essere curati a casa, in caso di virus, ma se dovessimo avere qualsiasi altro problema, dovremo correre negli ospedali delle altre città, sperando di arrivare in tempo. E poi? Quando tutto sarà finito, chi ci garantisce che il nostro ospedale ritornerà quello di prima? Sappiamo che non ci si può fidare. Ciò che va via, difficilmente ritorna. Vi siamo passati mille volte».

E’ indignata la maestra camerte Paola Gerini: «All’improvviso si ricordano di Camerino, unico presidio medico di un intero territorio, unico centro di riferimento medico per i tanti anziani che hanno le loro patologie e che frequentemente si recavano all’ospedale per le cure ordinarie. Tolgono un altro tassello importante ad una popolazione psicologicamente provata da quattro anni di resistenza, annientano ancor di più le attività già affossate da un menefreghismo governativo e burocratico, mettono a rischio l’unico baluardo che ancora resisteva, la nostra Università. Arrivano, portano via i nostri malati, i nostri cari, alla spicciolata, buttano fuori i meno gravi, non informano nessuno, e portano qui i pazienti affetti da Coronavirus. E che fine farà il nostro ospedale, se e quando questa emergenza sarà finita? Mi dispiace ma nessuno di noi crede alle rassicurazioni date da chi in questi anni non ha fatto altro che mettercelo nel di dietro».

Critico sulla scelta anche Valerio Valeriani, coordinatore dell’ambito territoriale sociale: «Mentre anche la ricostruzione è rimandata a data da destinarsi, chiudiamo l’unico ospedale dell’entroterra a tutte le patologie delle quali ci si è ammalati finora, che non cessano col coronavirus. In un territorio con tanti vecchi, difficoltà negli spostamenti e carenza di presidi sanitari. Si poteva fare diversamente? Non lo so. Certo questa scelta aumenta l’angoscia di chi da 3 anni e mezzo vive una grande precarietà e allunga le ombre sul prossimo futuro. Servono impegni non solo per il dopo ma anche fatti immediati, come ripristinare i servizi essenziali territoriali fiaccati in questi anni, il servizio salute mentale, la psicologia infantile, i presidi medici territoriali, il servizio di trasporto per anziani sempre più fragili verso servizi sanitari sempre più lontani».

«Non voglio assolutamente delegittimare le scelte degli esperti regionali – dice la camerte Donatella Pazzelli -, che però sembrano molto mutanti nelle loro valutazioni (ora guardano all’ospedale di Camerino come risorsa importante, mentre in questi ultimi anni hanno fatto di tutto per declassarlo e depotenziarlo) ma sottolineare come queste ci vengano sempre imposte dall’alto, invece che condivise. Voglio anche sottolineare la grande solidarietà post terremoto che ci ha abbracciati nel momento del bisogno, poco più di tre anni fa, e che questa terra non può e non deve dimenticare. Però mi preoccupo per le sorti future della nostra struttura, in particolare per la chirurgia e l’ortopedia, due eccellenze di questo ospedale, smantellate in fretta e furia. Nel passato da queste parti abbiamo visto tante cose partire in velocità e non ritornare più, quindi l’idea che una volta non più necessario il lazzaretto camerte venga abbandonato, come un contenitore vuoto, passa nelle menti di tutti noi. E’ il momento di fare quadrato per combattere il Coronavirus, ma è anche il momento delle garanzie e delle certezze, perché la somma delle disgrazie non ci lasci sempre più poveri e più soli».

Una signora residente a Visso dice di comprendere la scelta di Camerino come presidio per il Coronavirus: «Dobbiamo accettare un dato di fatto: siamo in un momento difficilissimo e le autorità pubbliche devono prendere decisioni complicate ed impopolari. Legittime le proteste accorate di chi per l’ ennesima volta fa presente la fragilità e le sofferenze degli abitanti di questi territori, legittimo chiedere con forza che vengano istituiti centri prelievi alternativi dislocati nei vari paesi, più che legittimo pretendere di avere garanzie sul futuro del ‘nostro’ ospedale, mentre reagire in modo scomposto non aiuta di certo a far funzionare meglio le cose».

 

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