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«La sanità si lombardizza,
le Ast in controtendenza
e costeranno di più»

RIFORMA - Il commento di Claudio Maria Maffei: «Maggiori costi per il moltiplicarsi dei direttori, e in un momento delicato saranno tutti impegnati a lavorare alla transizione»

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Claudio Maria Maffei

 

di Claudio Maria Maffei*

Ieri è stata presentata in Regione la proposta di legge che dovrebbe portare a una riorganizzazione del Servizio sanitario regionale. La proposta con i suoi 50 articoli e le 27 slide di presentazione dà in prima battuta una impressione di grande serietà e di grande innovazione. A leggerla meglio appare ridondante e consiste semplicemente nella operazione rischiosa, costosa e intempestiva di chiusura dell’Asur e di una Azienda ospedaliera (Marche Nord) e di apertura di cinque nuove aziende, una operazione in controtendenza rispetto a quello che avviene da anni in tutto il resto d’Italia, dove le aziende diminuiscono sempre di più. Le 5 nuove aziende sono le vecchie Aree Vaste che acquisiscono personalità giuridica e quindi autonomia di gestione. Aree Vaste che diventano Aziende sanitarie territoriali (Ast).

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Francesco Acquaroli e Filippo Saltamartini

Cinque aziende in più e la contestuale soppressione dell’Asur e di Marche Nord (incorporata nella Ast di Pesaro e Urbino) vogliono dire costi maggiori per il moltiplicarsi del numero dei direttori (quattro per ogni Ast visto che accanto a quello generale, amministrativo e sanitario ci sarà anche quello socio-sanitario) e dei responsabili dei vari uffici amministrativi, visto che saranno centralizzati solo gli acquisti e l’affidamento dei lavori. Invece personale, bilancio, controllo di gestione ecc. saranno organizzati a livello di singola azienda.

Ma il costo maggiore sarà l’enorme quantità di tempo che in questo momento delicatissimo verrà dedicato dalle direzioni e da tutto l’apparato che le supporta alla soppressione delle vecchie aziende e alla istituzione delle nuove. Si arriva all’assurdo che gli attuali direttori generali gestiranno la transizione fino al 31 dicembre 2022 mentre dal 1 gennaio 2023 la direzione passerà ai nuovi direttori. Cioè chi se ne va costruisce la nuova azienda per lasciarla a chi non avendola costruita dovrà studiarsela da capo. A meno che vecchi e nuovi direttori finiscano per coincidere al che toccherebbe ritirare fuori la solita espressione “cambiare tutto per non cambiare niente” che nelle italiche vicende non perde mai di attualità.

Nella confusione generata dai tanti articoli della proposta, dalle tante slide di presentazione e dalle tante dichiarazioni del governatore Francesco Acquaroli e dell’assessore Filippo Saltamartini si rischia di perdere di vista un elemento fondamentale oltre a quello della enorme perdita di tempo che la rivoluzione nel numero delle Aziende comporterà. Questo elemento è la lombardizzazione della sanità marchigiana. Il nome delle neonate Ast ricorda evidentemente quello delle equivalenti Asst della Lombardia, regione da cui provengono sia il direttore del Dipartimento Salute della Regione, Armando Gozzini, che uno dei tre consulenti per il nuovo Piano sociosanitario, Maurizio Boifava. Professionisti di grande credibilità, ma provenienti da un altro mondo sanitario. Quello lombardo appunto. Insomma, mentre la pandemia riprende quota, le liste di attesa si allungano, i cittadini si pagano le prestazioni o ci rinunciano e gli ospedali con i loro servizi di Pronto soccorso sono al collasso noi avremo per mesi le attuali direzioni impegnate in un enorme lavoro di esclusiva rilevanza amministrativa. Quando arriveranno le nuove dovranno fare altri atti amministrativi come gli atti aziendali. Per quale motivo si sta distraendo in questo modo l’attenzione dai problemi più gravi della nostra sanità? La risposta ufficiale è che tutto questo si fa per avvicinare di più la sanità ai cittadini. Detto da una Giunta che ha già deciso tutto senza consultare seriamente nessuno (edilizia ospedaliera, Case della comunità e Ospedali di comunità) non si sa se fa più rabbia o più ridere.

*Medico, dirigente sanitario in pensione

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