di Ugo Bellesi
Chi non ricorda gli anni in cui in Italia si parlava con entusiasmo della “via marchigiana allo sviluppo” perché una generazione di giovani industriali aveva creato una rete di piccole e medie aziende che primeggiavano in vari settori come l’abbigliamento, il tessile, le calzature, gli alimentari, il mobile, le cucine, la cantieristica. Si trattava di tutta una serie di industrie manifatturiere che, analogamente a quanto facevano le aziende artigianali, puntavano tutto sul “bello fatto bene”. E questo valeva anche per le industrie dell’agroalimentare sostenute da una produzione agricola di alta qualità che aveva (come ha attualmente) le sue punte di diamante nell’olio e nel vino, come anche nella frutta e nei prodotti dell’orticoltura. Ovviamente questa situazione non poteva durare a lungo perché ben presto anche altre regioni si sono fatte avanti, soprattutto al nord ma anche nel mezzogiorno, trovando il supporto in più facili finanziamenti e in strutture logistiche più efficienti. Ma il principio del “bello fatto bene” non è mai venuto meno e le nostre aziende manifatturiere sono diventate anche terziste per conto di grosse aziende del mondo della moda come di altri settori. E ancora oggi alcuni grandi marchi hanno messo gli occhi su alcune nostre imprese di prestigio.
Ma qualcosa è cominciato a scricchiolare. Proprio negli ultimi mesi alcuni fenomeni, specialmente nel settore dell’agroalimentare, hanno suscitato più di un allarme. Più d’un mese fa in un’azienda di Matelica specializzata nel settore della norcineria ha avuto sequestrata una partita di ciauscolo. Più recentemente in un ristorante che si trova al Piano di Ancona è stata multata perché teneva carne non etichettata e 90 chili di alimentari scaduti. Altri sequestri di alimentari sono avvenuti a Civitanova in un paio di ristoranti gestiti da cinesi. E’ di pochi giorni fa la condanna, da parte del Tribunale di Macerata, di un imprenditore agricolo di Tolentino accusato di aver commercializzato maiali e cosce di maiali generati tramite seme di “Duroc danese” (acquistato da un’azienda piemontese) falsificando la certificazione come se provenissero da seme di “Duroc italiano” così da renderli utili per la produzione di maiali compatibili con il disciplinare riservato per i prosciutti “Parma dop” e “San Daniele dop”. Tanto è vero che i due consorzi di tutela si erano costituiti in giudizio. Va comunque sottolineato che l’imprenditore si ritiene ingiustamente condannato ed ha proposto appello.
Ciò che però ha creato maggiore scalpore è stata l’inchiesta di Report che sul Tg3 ha elencato una serie di manchevolezze e soprattutto maltrattamento agli animali negli allevamenti della Fileni, che proprio di recente aveva ricevuto dei riconoscimenti ufficiali per la propria efficienza. Purtroppo l’inchiesta di Report ha lasciato il segno. E questo non ci voleva proprio perché, a partire dal sequestro dei ciauscoli a Matelica e fino alla vicenda Fileni, c’è stata una serie di “schiaffi” alla nostra produzione alimentare che incide sulla fiducia che i consumatori (non solo marchigiani ma di tutta Italia) hanno sempre avuto per i prodotti delle Marche. Siamo certi però che i nostri produttori sappiano riscattarsi e dimostrare che le eccellenze della nostra regione hanno sempre un grande valore.
Ma c’è anche un altro pericolo all’orizzonte e questa volta colpisce proprio il nostro vino (come quello di tutta Italia). Infatti la Commissione europea di Bruxelles, avendo fatto scadere la moratoria di sei mesi senza presentare opposizione, ha di fatto autorizzato l’Irlanda ad applicare una normativa che le consente di applicare sulle etichette delle bottiglie di vino l’indicazione che questo prodotto è equiparato alle sigarette scrivendo: “L’alcol provoca malattie del fegato” oppure ”Alcol e tumori sono collegati in modo diretto”. Perché Dublino ha scelto questa strada? Per il semplice fatto che vuol combattere l’alcolismo dei suoi cittadini anziché educarli e spiegare che bere poco fa bene mentre ubriacarsi è dannoso. E la conseguenza peggiore sarà che altre altri Paesi dell’Unione europea potrebbero seguire questo esempio provocando un danno enorme alla nostra economia. L’Italia uno dei maggiori esportatori di vino nel mondo (insieme a Francia e Spagna). Per noi è un settore che vale 14 miliardi di euro coinvolgendo una filiera di un milione e 300mila persone.
Un altro problema riguarda la filiera del suino. Infatti la carne di maiale è sempre più richiesta dai consumatori perché costa meno di altre. Il che però ha provocato una massiccia importazione di suini dall’estero mentre per gli allevatori italiani è difficile far fronte a questa concorrenza straniera in quanto i costi di produzione sono molto aumentati. Il presidente della Coldiretti di Macerata, Francesco Fucili, ha dichiarato che in due anni gli allevamenti non familiari di suini sono diminuiti da 822 a 775. Altrettanto è avvenuto con gli allevamenti familiari. A pesare non è soltanto il costo di energia e carburante ma soprattutto quello dei mangimi che è raddoppiato. Ogni maiale all’ingrasso consuma 10 quintali di farina in 300 giorni.
E il costo della farina, che era di appena 25 euro a quintale, oggi è salito a 45 euro. Altre nubi si profilano all’orizzonte dal momento che la Commissione europea, avendo autorizzato, dal 2018 in poi, la vendita come cibo della “larva gialla della farina” e della “locusta migratoria”, dal 15 gennaio 2023 ha riconosciuto come alimento le “larve del verme della farina minore” sia congelate, in pasta, essiccate e in polvere. Potranno essere usate come ingrediente in una serie di prodotti ma anche come integratori alimentari. Invece dal 24 gennaio di quest’anno l’Unione europea, dopo il via libera dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha autorizzato la vendita dei grilli sotto forma di farina e quindi impiegati come crackers, grissini, biscotti, pane, prodotti secchi a base di pasta farcita o non farcita, salse, piatti a base di leguminose e di verdure, pizza, prodotti a base di pasta, siero di latte in polvere, prodotti sostitutivi della carne, minestre o anche bevande, tipo birra, prodotti a base di cioccolato, snack diversi dalle patatine e preparati a base di carne. Il ministro dell’agricoltura Lollobrigida ha tenuto a sottolineare: «Finchè saremo al governo nessun cibo creato in laboratorio arriverà sulle tavole degli italiani. E questo vale soprattutto per la carne sintetica prodotta in laboratorio con cellule animali».
Ma a proposito di grilli non possiamo tacere che fin dal 2016 a Montecassiano la Nutrisect ha creato un impianto dotato di mille metri quadrati con 10 milioni di grilli del tipo Achela domesticus. Si mettono in una cella riproduzione il 5% dei grilli allevati e ogni giorno ne nascono 600mila. C’è poi il reparto congelamento dove i grilli si addormentano congelati. Vengono essiccati in una specie di forno e infine macinati in un mulino a pietra. Il prodotto finale è una farina che può essere usata per fare tutto, dalla pizza alla pasta. Attualmente la polvere di grillo è destinata a mangimi per animali. Ma presto si punterà alla ristorazione e ai supermercati.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati