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Suole per gli anfibi dell’esercito russo?
Azienda di Morrovalle nel mirino:
«Non sapevamo fossero per loro»

IL CASO - Il "Suolificio Morrovallese" compare tra le imprese italiane (ce n'è anche una del Fermano) che avrebbero rifornito i russi. Silena Staffolani, che gestisce l'azienda insieme al marito: «Siamo finiti in un polverone come se rifornissimo armi. Si tratta di un'unica fornitura di luglio 2022. Sono 300 paia di suole che abbiamo realizzato per un nostro cliente, il calzaturificio Faraday»

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Suolificio Morrovallese

 

di Laura Boccanera 

Ci sarebbe anche un’azienda di Morrovalle tra i fornitori dell’esercito russo. Un’inchiesta di ‘The Insider’ in lingua russa testimonia come le sanzioni non avrebbero inficiato le forniture dall’Europa di materiale di ogni tipo verso Mosca, dai prodotti elettronici altamente tecnologici come microchip ai giubbotti antiproiettili, dagli esplosivi agli anfibi grazie ad una serie di triangolazioni fra Paesi che non hanno previsto sanzioni verso la Russia.

Tra le poche aziende italiane ne figurano anche due marchigiane, il tacchificio Campiglionese, nel Fermano, mentre a rifornire le suole per le scarpe destinate all’esercito sarebbe stata proprio l’azienda maceratese, il “Suolificio Morrovallese”.

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Il testo di “The Insider” in cui si fa riferimento all’azienda

L’azienda conferma la fornitura, ma dichiara di non essere stata a conoscenza del fatto che le suole sarebbero servite per la realizzazione di anfibi destinati all’esercito russo. A parlare è Silena Staffolani che assieme al marito gestisce la storica azienda di Morrovalle e che nel pomeriggio è stata travolta da messaggi e chiamate dopo la pubblicazione e diffusione dell’articolo: «Siamo stati tempestati di messaggi per questa vicenda – commenta  – intanto parliamo di una sola unica fornitura di luglio 2022. Sono 300 paia di suole di cuoio che abbiamo realizzato per un nostro cliente, il calzaturificio Faraday. Ma non avevamo idea che servissero per gli anfibi. E se lo avessimo saputo non lo avremmo fatto, realizziamo dalle 800 alle 1000 paia al giorno per cui 300 è una fornitura davvero minima ai fini del fatturato aziendale e ci sta procurando un sacco di problemi. Siamo finiti in un polverone come se rifornissimo armi alla Russia. Abbiamo fatto tutto secondo la normativa che prevede che è possibile fare forniture minime e infatti dopo esserci informati se potevamo farlo abbiamo fatto la spedizione in dogana per fondi in cuoio. Oltretutto il calzaturificio ci aveva pagato in anticipo, prima dell’embargo e delle sanzioni. La norma prevede inoltre il divieto di esportazione per beni di lusso del valore superiore a 300 euro a pezzo e il nostro prodotto costa 20 euro per cui era stato possibile spedire la merce. Questo riporta anche la bolla doganale. Ripeto, non eravamo al corrente della destinazione finale e se lo avessimo saputo ne avremmo fatto volentieri a meno».

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