‘Il culto della Venere nera’,
la vita da romanzo di Maurizio Mariscoli
raccontata nel suo ultimo libro

STORIE - Il volume, pubblicato con con Arbor Libri, trasforma in materia letteraria le avventure dell’autore in Senegal, dove ha vissuto tra il 2019 e il 2023 da pianista jazz nei più decadenti ed esotici locali di Dakar, in cerca di fortuna seguendo una rotta migratoria assolutamente alla rovescia,  rispetto a quella eurocentrica. «E’ un autofiction, genere che Massimo Canalini ci raccomandava di praticare», spiega, ricordando il suo amico editore ed editor anconetano scomparso un anno fa, lo scrittore nato ad Ancona dove ha vissuto per trent’anni per poi trasferirsi a Porto Recanati e infine scegliere la vita dell’apolide

Maurizio Mariscoli in un piano bar di Dakar

di Marco Benedettelli

“Scrivete su ciò che conoscete meglio, che vivete su di voi”. Parola più parola meno,  era questo uno dei consigli primari che l’editore Massimo Canalini  era solito confidare a chi prendeva parte ai suoi laboratori di scrittura creativa. E Maurizio Mariscoli, che di Canalini era un discente e amico, quel consiglio non se l’è fatto sfuggire, sebbene la sua, di storia, non è proprio di quelle ordinarie. Nel romanzo “Il culto della Venere nera”, pubblicato quest’anno con Arbor Libri, Mariscoli, classe 76, ha tramutato in materia letteraria le sue avventure in Senegal, dove ha vissuto tra il 2019 e il 2023 da pianista jazz nei più decadenti ed esotici locali di Dakar, in cerca di fortuna seguendo una rotta migratoria assolutamente alla rovescia,  rispetto a quella eurocentrica. Un’operazione letteraria che è avvenuta trasfigurando il suo vissuto  tramite camuffamenti del caso, scostamenti narrativi dalla vita vera al racconto modellato. «Il culto della Venere nera è un autofiction, genere che Massimo Canalini ci raccomandava di praticare», racconta Maurizio Mariscoli, nato ad Ancona dove ha vissuto per trent’anni per poi trasferirsi a Porto Recanati e infine scegliere la vita dell’apolide.

Mariscoli in un locale di Dakar, in Senegal

E così il protagonista, di nome Henry, (alterego che compare in altri scritti dell’autore) è egli stesso un pianista che si mescola alle strade viscerali di Dakar. “Il culto della Venere nera”, è concentrato in tre episodi, più o meno tra loro indipendenti, ognuno dedicato al corteggiamento e all’avventura erotica con una bellissima ragazza africana, inseguita lungo le spiagge, i fiumi, tra le luci fioche della scompaginata Dakar notturna, o fin nelle stanze più profonde delle case africane,  dove le stesse giovani Veneri nere vivono, pudiche e ribelli e si lasciano corteggiare sovrapponendo schermaglie, prove, inganni, giochi.  Henry è un bianco tra i senegalesi, la notte suona  e di giorno bazzica botteghe di venditori d’arte africana, sogna e si batte per conquiste erotiche dal suo monolocale affacciato sulle strade della città e non lontano dall’Oceano Atlantico, fra il gracchiare di giganteschi corvi appollaiati sui fili elettrici della strada.

Il culto della Venere nera non è il primo romanzo di Mariscoli, laureato in Lettere Moderne e diplomato in Filmmaking alla Nyfa di Los Angeles. Il precedente “Tre piccoli inferni” è una trilogia di racconti folk horror uscito anch’esso con Arbor Libri. E poi ci sono altre tre opere ancora inedite, prodotte in un lavoro intenso spalla a spalla con Massimo Canalini, il grande editore ed editor anconetano scomparso un anno fa, apripista di nuovi linguaggi narrativi e talent scout dallo sguardo anticonformista, che nelle sue redazioni, prima in via Piave 32 con Transeuropa poi ancora  in Corso Garibaldi  94 con Cattedrale, ha tenuto corsi, riunioni, laboratori, momenti di editing e scuole creative spontanee o organizzate a un fiume di persone, compresi scrittori e scrittrici locali che muovevano i primi passi. Mariscoli era uno di questi. «Le mie erano frequentazioni anche private, andavo a casa di Massimo Canalini, mi cucinava le penne col tonno e i capperi che amava molto, ci sedevamo e io leggevo e lui mi dava i suoi insegnamenti. Riga dopo riga, abbiamo editato tre romanzi assieme, “Il Vangelo tascabile dei registi in erba” e altri due che non sono ancora pubblicati». Il culto della Venere nera non è passato per le lunghe e anche dure sessioni di editing di Canalini, è un frutto autonomo, «È un romanzo che non ha mai letto, e me ne dispiace. Un giorno gliene parlai da Dakar al telefono e lui ne era entusiasta», ricorda Mariscoli.

Maurizio Mariscoli in uno dei suoi viaggi in bicicletta lungo l’Africa

Le  continue ricerche di talenti narrativi,  che Canalini praticava assieme al sodale Pier Vittorio Tondelli e tanti altri dagli anni 80 del 900, e che non ha smesso di perseguire con  sbalorditiva passione negli anni ‘10 del 2000 assieme a Valentina Conti per lo scouting marchigiano del concorso Pagine nuove, hanno fomentato fra chi in quegli anni praticava la scrittura una energia narrativa che torna e ribolle  anche in Il culto  della  Venere nera.  Nella struttura narrativa senza trucchi, per esempio, che si regge sui dettagli della quotidianità capaci di emergere tridimensionali fino a divenire terreno d’incontro profondo. Come si sente l’insegnamento sul piano stilistico, nel  ritmo vertiginoso e acid jazz di qualche passaggio che sembra scritto per essere letto, anzi cantato a voce alta , come Massimo Canalini era solito chiedere di fare durante i suoi laboratori.

Il culto della Venere nera è il racconto di un vissuto, ma se la narrazione è divertente, è altrettanto straordinaria la storia da cui, con tutte le dovute traslazioni e modificazioni, Maurizio Mariscoli ha attinto per dare voce al suo collega pianista Henry. Nella vita vera, tutto inizia con la rottura del rapporto di lavoro con un’importante azienda locale, che coincide con la fine della relazione sentimentale. Così Mariscoli decide di cambiare. È diplomato al conservatorio e punta sul pianoforte, sua perenne attività, coltivata negli anni passati col gruppo di Ancona, “Fuoriserie”. Grazie a una carambola di combinazioni, trova lavoro a Parigi, dove suona in un locale letteralmente sotterraneo, dalle pareti pitturate bianche e nere a strisce che si chiama, appunto, il Club RaYé,  un posto borderline, gestito da un americano dal piglio alla Henry Miller e Ernest Hemingway del nuovo millennio. È qui, lungo la scintillante Senna, che Mariscoli, come in una poesia dei Fiori del male di Charles Baudelaire, incontra l’Africa. «Vivevo nelle banlieue di Saint-Denis insieme ai Camerunensi, mangiavo con loro, c’erano anche alcune ragazze senegalesi bellissime. Sono rimasto per due anni con un contratto da pianista. Poi il locale ha chiuso improvvisamente. A quel punto, grazie alle amicizie che avevo in Africa, mi sono trasferito a Dakar, da solo, dove mi sono ambientato conoscendo persone in strada».

Maurizio con le persone del posto, in SenegalStorie che d’altronde echeggiano tutte nelle peripezie di Henry nel Il culto della Venera nera. Era il 2019 quando Maurizio approda a Dakar, e inizia a suonare jazz per gli expat bianchi occidentali così come in club frequentati dai locali. Ma anche lì arriva il Covid,  niente più musica e spettacoli e  Mariscoli allora si reinventa nell’import export di arte africana, soprattutto con clienti  americani. «Vivevo nell’antico quartiere Yoff, presidiato da pescatori Lebou, in condizioni igieniche anche estreme, tra signore senegalesi che mi affittavano casa e una stanza stipata di statue e di feticci tribali. La situazione era estremamente romanzesca e così andavo scrivendo ciò che vivevo sulla mia pelle. Ho imparato il wolof, la lingua atlantica africana, me l’hanno insegnata le donne,  che stanno a casa mentre gli uomini sono sempre in giro – ricorda Maurizio –  vivevo come uno di loro, ho sperimentato anche io la poligamia. All’inizio avevo timore di raccontare alla mia compagna di allora che nel frattempo mi frequentavo con altre. Quando l’ho fatto,  ho constatato che la reazione da parte sua era del tutto pacifica e così  ho sciolto i miei sensi di colpa». Era il trionfo della bohemien esotica, una dimensione che si ritrova anche nella sua opera narrativa, dove appunto l’esotico diventa per il protagonista una sorta di malattia che lo possiede, mentre si ingegna e affanna fin nelle situazioni più interne al cuore dell’Africa alla ricerca di un contatto animistico con l’esterno.

Poi Mariscoli si trasferisce a M’bour, una cittadina a un centinaio di chilometri da  Dakar, davanti all’oceano, in una antica casa coloniale. Iniziano altri mirabolanti viaggi, che l’autore e musicista intraprende in bicicletta lungo le strade africane, in Guinea Bissau a conoscere la gente del posto e la loro arte, nelle giungle del Casamance in Senegal, lungo i fiumi del Gambia, in un’Africa rurale e sempre dolce e accogliente. Intanto, mentre era via, il balcone della sua casa crolla, travolgendo mortalmente un vicina. Dopo quel lutto Maurizio decide di tornare in Italia,  e inforca la sua bici  fino alla Mauritania, passa addirittura per il Sahara lungo delle piste nel deserto, fino al Marocco da dove poi sale in aereo verso Ancona. «In quegli anni mi bastava un budget di 500 euro al mese per vivere. Era  molto dura per un occidentale, mi sono anche ammalato per lunghi periodi, ammetto che ogni tanto ho commesso delle follie, che non rifarei».

Finita l’avventura in Senegal, ne inizia una nuova, sempre come pianista,  ma questa volta in una nave crociera, la Swiss Crowd della compagna Scylla, che solca le acque del Danubio nella Mitteleuropa. «È a bordo che lo scorso anno ho appreso  della scomparsa di Massimo Canalini – racconta Maurizio –  non volevo crederci, non riesco a crederci nemmeno ora. Tornato ad Ancona, sono andato al cimitero a trovare la sua lapide. Massimo mi ha insegnato tanto». Anche che la letteratura può condurci lontanissimo.

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