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Braccialetto elettronico disattivato,
il legale del giovane albanese:
«Non ha mai taciuto il suo licenziamento»

OSIMO - L'avvocato Nicola Cagia, che tutela l'uomo sottoposto a misura cautelare per presunti maltrattamenti alla moglie e ai figli minori, chiarisce che il suo assistito è sempre rimasto agli arresti domiciliari. Non ha affatto usufruito, in attesa del rinnovo del contratto, del provvedimento che lo autorizzava ad uscire di casa per svolgere l'attività lavorativa

 

«Il mio assistito è sempre stato ai domiciliari, il tribunale era a conoscenza che la sua assunzione era stata annullata e il permesso per andare al lavoro gli è stato revocato perché non lo stava utilizzando, non ha taciuto del licenziamento». Così l’avvocato Nicola Cagia che assiste un giovane albanese sottoposto a misura cautelare per presunti maltrattamenti alla moglie e ai figli minori. Il legale interviene in merito all’articolo “Si fa disattivare il braccialetto elettronico per andare al lavoro ma era stato licenziato e torna ai domiciliari” dello scorso 1  ottobre. E chiarisce che il suo assistito, «seppur autorizzato a svolgere attività lavorativa dalla competente autorità giudiziaria, ha sempre mantenuto in essere la misura cautelare degli arresti domiciliari, in ragione del fatto che lo stesso non poteva allontanarsi dalla propria abitazione se non per svolgere attività lavorativa, pertanto e in ossequio a tale prescrizione, quest’ultimo rimaneva in attesa (in arresti domiciliari) di poter riprendere la propria attività lavorativa in forza di quanto espressamente convenuto con il proprio datore di lavoro circa l’inizio ex novo di tale lavoro a decorrere dal corrente mese di ottobre. A riguardo, appare doveroso precisare che l’autorità giudiziaria (e con essa anche le locali forze dell’ordine) era già al corrente dell’annullamento dell’assunzione del mio assistito quando emetteva il summenzionato “provvedimento autorizzativo” del 6 settembre 2019, in quanto la “missiva” con cui il datore di lavoro del mio cliente comunicava formalmente allo stesso l’annullamento della propria assunzione era datata 23 agosto 2019 e, pertanto, quest’ultima veniva correttamente allegata (e chiaramente citata) da questa difesa già nella (prima) istanza difensiva volta a chiedere l’autorizzazione all’espletamento di attività lavorativa, che veniva infatti depositata in data 29 agosto 2019».

Secondo il legale pertanto «non appare essere corretto quanto scritto ed indicato nell’articolo (compreso lo stesso titolo in cui si scrive erroneamente: “torna ai domiciliari”) in cui si ha modo di leggere e interpretare – in modo non corretto – una “presunta” volontà del mio assistito di aver “taciuto” alla autorità giudiziaria il proprio “licenziamento”. Si conferma invece che lo stesso veniva raggiunto da successivo provvedimento di “revoca” dell’autorizzazione a svolgere attività lavorativa, ma non perché “sorpreso” quest’ultimo in altre condotte, bensì a seguito di una accertata non fruizione di tale “autorizzazione” e, conseguentemente, una mai ripresa attività lavorativa: il mio cliente stava attendendo la formale riassunzione da parte del proprio datore». L’avvocato Nicola Cagia chiarisce e specifica inoltre che «con istanza difensiva del 26 settembre, questa difesa portava in ogni caso a conoscenza la preposta autorità giudiziaria della mancata fruizione di tale attività lavorativa e della eventuale ripresa della medesima solo a decorrere (almeno) dal successivo mese di ottobre (ad oggi in ogni caso non ancora ripresa) indicando espressamente l’accordo intercorso tra il diretto interessato e il di lui datore di lavoro. Seguiva contestuale provvedimento di revoca della sopracitata “autorizzazione” con provvedimento di pari data da parte della competente autorità giudiziaria».

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