di Federica Serfilippi
Entrambi gli imputati hanno agito per «un movente di natura economica». Giuseppe Santoleri «aveva maturato un’esposizione debitoria nei confronti della moglie e non aveva alcuna intenzione di adempiere». Il figlio Simone «aveva da tempo manifestato la volontà di far desistere la madre dal perseguimento delle somme dovute dal marito a titolo di arretrati». Inoltre, è emersa a carico di Simone «una serie sterminata di indizi gravi, precisi e concordanti» che «rilevano in modo innegabile un radicato e risalente sentimento di rancore nei confronti della vittima». Sono i passaggi salienti delle motivazioni della sentenza con cui lo scorso settembre il tribunale di Teramo ha condannato l’ex marito e il figlio maggiore di Renata Rapposelli per omicidio e soppressione di cadavere. Al primo, il 70enne Giuseppe, è stata inflitta una pena di 24 anni di reclusione. Al 46enne Simone 27 anni di carcere. La procura, per quest’ultimo, aveva chiesto l’ergastolo. Entrambi sono in carcere da marzo 2018, dopo le indagini portate avanti dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Ancona. Reny, che abitava nel capoluogo dorico (in via della Pescheria), era partita il 9 ottobre 2017 dalla stazione per raggiungere Giulianova, dove risiedevano Simone e Giuseppe. Era stato quest’ultimo a indurla a venire in Abruzzo «con il pretesto (falso) della grave patologia» che affliggeva il figlio.
Un pretesto – scrive il tribunale teramano – «funzionale a favorire l’avvio di ulteriori trattative con la persona offesa e a far desistere quest’ultima dal mantenere ferme le proprie pretese in ordine alle somme dovute per il mantenimento». Stando alle risultanze investigative, l’ex marito doveva a Reny circa 3mila euro di arretrati. A casa di padre e figlio, il litigio scatenante e il delitto, avvenuto per strangolamento e/o soffocamento. Il 46enne figlio di Renata è stato riconosciuto come «l’autore materiale principale dell’omicidio». Simone avrebbe agito sia per interessi economici sia per «un risalente e mai sopito disprezzo per la figura materna». «Tale risentimento – scrivono i giudici – legato in parte al difficile rapporto tra madre e figlio, si era ultimamente acuito con l’intensificarsi delle richieste pressanti legate all’assegno di mantenimento». Tanto che, una testimone, ha detto di aver ascoltato il giorno dell’omicidio queste parole, riferibili a Simone: «Non ci sei mai stata e ora che torni pensi di prenderti tutto» Giuseppe avrebbe assecondato sempre le scelte del figlio perché «remissivo e succube».
Stando ai giudici, l’ex marito della vittima (durante un interrogatorio aveva ammesso di aver assistito inerme all’omicidio) ha aderito «alla condotta criminosa posta in essere dal coimputato» sia rispetto all’omicidio che alla soppressione di cadavere. In riferimento al 70enne, il movente economico «pare accompagnato dalla volontà dell’imputato di di assecondare in ogni modo la volontà del figlio». Il corpo di Renata era stato portato da Giuseppe e Simone il 12 ottobre sulle sponde del Chienti, nel comune di Tolentino. Era stato gettato in un dirupo dopo un trasporto avvenuto in auto, nella Fiat 600 immortalata dalle telecamere sulla Ss76, all’altezza di Porto Sant’Elpidio. Il cadavere, irriconoscibile, era stato ritrovato un mese dopo il delitto. La difesa dei Santoleri è rappresentata dai legali Alessandro Angelozzi, Gianluca Carradori e Gianluca Reitano. Parti civili erano la figlia minore della vittima (avvocato Anna Maria Augello) e l’associazione per le persone scomparse Penelope (legale Federica Guarrella).
Omicidio Rapposelli, il pm: «Ergastolo per il figlio e 24 anni al marito»
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