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La grigliata proibita di Santarelli
riassume la disfatta del M5S

IL COMMENTO di Fabrizio Cambriani - Il sindaco grillino di Fabriano partecipa al convivio natalizio in barba alle norme anti Covid e risulta positivo pochi giorni dopo. Invece di dimettersi se la prende con chi ha dato la notizia. Il simbolo di una classe dirigente che ha predicato moralismo intransigente per poi "scivolare" su una buccia di salsiccia

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di Fabrizio Cambriani

Crollano i templi, scompaiono gli imperi, sprofondano nel mare antiche civiltà. E in politica si sciolgono come neve al sole partiti e movimenti che, solo tre anni fa, parevano essere eterni. È il caso del Movimento 5 Stelle. La rappresentazione plastica di questa autodistruzione, almeno qui nelle Marche, è incarnata dal sindaco di una importantissima città, come quella di Fabriano, Gabriele Santarelli.

Ma prima di addentrarci nei commenti, stiamo ai fatti che qui, sinteticamente, riassumo. Capita che, a taluni dipendenti comunali del centro cartaio, in occasione delle festività natalizie, venga la brillantissima idea di salutarsi con la classica grigliata di carne. Attività naturalmente vietata dai tanti dpcm che da febbraio a oggi si susseguono, perché cagione di pericolosi assembramenti. Succede che essi dipendenti, invitino per la circostanza, anche il sindaco Santarelli. Che, in punto di diritto, ma anche in via del tutto incidentale, sarebbe anche pubblico ufficiale: nella fattispecie la suprema autorità sanitaria cittadina.

Accade che il sindaco, invece di diffidare severamente i suoi collaboratori dall’astenersi da questa insidiosissima pratica, li raggiunga colà riuniti, in un pubblico spiazzo. Quindi, all’uopo armata di carbonella e graticole, l’allegra brigata celebra la libagione con braciolette di capocollo. Infine, solo qualche giorno dopo, avviene che lo stesso sindaco, attraverso un post su Facebook, comunichi alla città, ma anche al mondo, di essere risultato positivo al tampone del coronavirus.

Insomma, la carne al fuoco è tanta che chiederne le dimissioni sarebbe cosa buona e giusta. Una condotta imperdonabile per chiunque. Figuriamoci per chi ha fatto del moralismo rigoroso e intransigente, la sua cifra. Lo sanno bene in molti che, in passato e stritolati dai cingoli dell’inquisizione grillina, hanno subito, per molto meno, il giogo di pesanti forche caudine. Se non altro a livello di immagine.

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Gabriele Santarelli

Ma, invece di dimettersi, Santarelli, prima si scusa per non aver pagato la sua quota di partecipazione – che non si dica che mangi a scrocco – poi se la prende con i giornalisti – vil razza dannata – che hanno pubblicato la notizia. Roba poco degna, perfino al tempo del Regno delle due Sicilie. Davvero un brutto epilogo per chi come lui che, provenendo da un movimento che ha intessuto teoremi e ricamato moralità, rischia di scivolare inesorabilmente su di una buccia di salsiccia. Ma, a pensarci bene, è il finale di un’epoca tutto all’italiana, meritevole dei migliori capolavori di Monicelli. Dove anche il dramma peggiore finisce sempre in farsa. O, come in questo caso, in abbuffata. Con le ganasce piene a masticare lombi suini, il bottone dei pantaloni slacciato e il bicchiere di rosso in mano: alto nei cieli a salutare tempi migliori che verranno. Aivoja se verranno! È la metamorfosi improvvisa e repentina di quella che voleva assurgere a nuova classe dirigente. All’apparenza tutta di un pezzo, ma che poi si arrende e si dichiara prigioniera del ciauscolo. Come un Ulisse qualsiasi, sedotto dalla sensuale Calipso, Santarelli si abbandona – mera vertigine dei sensi – a un bel piatto di fegatelli.

E qui, pietà ci coglie. Perché si disvela la vera natura del grillino. Che, nel crocevia che dovrebbe condurre a severe e dolorose scelte e come i peccatori carnali che la ragion sommettono al talento, imbocca – facendo prevalere le ragioni del buon cuore (e perché no? della coratella) – la strada della bruschetta con l’olio nuovo e tanto aglio. E lì, l’umanità intera capisce che neanche il Dna più temprato dai severissimi addestramenti di Savonarola – propri della scuola grillina – è indifeso. Imbelle. Non c’è nessun anticorpo che possa combattere e sconfiggere il peccato di gola. Da celebrare come un rito orgiastico: sempre e comunque. In violazione di ogni opportunità e buon senso. Il primo rappresentante delle istituzioni che, come Gesù Bambino, si incarna e si fa deroga di qualsiasi regola di convivenza civile. Partecipando e dando legittimità a un discutibilissimo convivio. E che poi, non persuaso di quello che ha combinato, spiega che tutto si è svolto “senza nessuna possibilità di favorire contagi”. Perché la sua parola, anzi il suo Verbo, vale più di ogni inutile atto normativo. È lui stesso che se ne fa garante sui social. Come farebbe un signorotto medievale. O, tornando ai giorni nostri, un democristianissimo commendatore in doppiopetto. Perché, sempre italianamente parlando, le regole valgono solo per gli altri e mai per sé stessi.

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Una grigliata di carne

E quando mai dovesse capitare di infrangerle si minimizza sottovoce e si strilla al complotto. O si ricorre, farfugliando supercazzole, al benaltrismo. Sarebbe interessante sapere come andrà a finire questa penosa vicenda. Se, per esempio, il solerte facilitatore regionale del Movimento 5 Stelle avrà la stessa premura che ha avuto a Ferragosto, nel deferire ai probiviri il comportamento di Santarelli, così come ha fatto con chi si è macchiato solo di criticare discutibili opinioni. Oppure vedere se le opposizioni presenteranno una mozione di sfiducia al sindaco. Non tanto per il risultato, ma quanto per lasciare agli atti le motivazioni che i pentastellati porteranno a sua difesa.

La cosa sicura è che quel poco che oramai resta del M5S marchigiano è rinchiuso tutto un’immagine forte e altamente simbolica: qualche costina di maiale ben rosicchiata dentro piatti di carta sparpagliati su di un tavolo malamente imbandito. E la pena di un contrappasso dantesco che li vorrebbe per l’eternità, condannati a spalmare mazzafegato per gli altri, senza poterne assaggiare nemmeno un boccone. Il tutto dalla città di Fabriano, simbolo un tempo non troppo lontano, della vitalità grillina.

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