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Centrodestra, una poltrona per tre:
la Lega punta forte sulle Regionali
La “carta nascosta” è il factotum Arrigoni

IL COMMENTO - Da settembre inizieranno le grandi manovre per preparare il prossimo governo delle Marche dopo i cinque anni fallimentari a guida Ceriscioli. Sarà una coalizione di destra (trainata da Lega e Fdi) o più moderata? Salvini pensa al suo preconsole, ma restano in lizza anche i nomi di Guido Castelli e Francesco Casoli

 

 

di Fabrizio Cambriani

Ultima estate per la decima legislatura regionale. Da settembre inizieranno le grandi manovre per preparare il prossimo governo delle Marche. Con tutta probabilità e dopo i cinque anni fallimentari a guida Ceriscioli, nel 2020 ci sarà il cambio della guardia che vedrà, per la prima volta nella storia della Regione Marche, il centrosinistra in minoranza. Questa, almeno oggi e stando ai numeri, sembra l’unica certezza. Non si capisce bene, infatti, se il prossimo governo regionale sarà formato da una coalizione di destra o di centrodestra. I numeri premierebbero, da soli, una maggioranza Lega e Fratelli d’Italia. Ma entrambe le formazioni politiche pretenderebbero per sé il governatore.

Guido Castelli

Candidato in pectore, prima delle elezioni europee, era Guido Castelli, ex sindaco di Ascoli in quota Forza Italia. Una casacca che, a causa della riduzione ai minimi termini del partito berlusconiano, gli si stava facendo sempre più stretta. Castelli, alla vigilia delle Europee, tentava pure qualche approccio con il partito di Salvini, non risultando, tuttavia, affatto gradito alla locale classe dirigente. Quindi optava per Fratelli d’Italia (poiché “cresciuto nel Msi e maturato in Alleanza nazionale”) e, ad Ascoli, imponeva un suo candidato – l’attuale sindaco, Marco Fioravanti – in una guerra fratricida tutta interna al centrodestra. Avversario, il suo rivale interno di sempre, Piero Celani, consigliere regionale di Forza Italia. Una battaglia che Castelli stravinceva, convinto di accreditarsi come l’uomo forte del centrodestra. Ma il 38% dei consensi andato alla Lega, temo abbia scombinato i suoi piani. Il maggiore azionista di riferimento – quale che sia la composizione della coalizione – rivendica infatti la guida della Regione. Tanto più che, nel caso di Ascoli, la Lega – a differenza di Forza Italia – ha rispettato i patti e sostenuto lealmente Fioravanti. Salvini, ufficialmente non partecipa a nessun totonomi. Consapevole di non avere nel territorio una classe dirigente adeguata a ruoli di governo (le elezioni amministrative si sono rivelate un banco di prova del tutto negativo), ogni tanto fa trapelare qualche nome che dura al massimo un paio di giorni, per poi definitivamente scomparire. Però ha già chiaro in mente chi sarà l’uomo che al momento opportuno imporrà agli alleati, avendo cura di tenerlo al riparo da qualsiasi indiscrezione.

Paolo Arrigoni con Matteo Salvini

Si tratta di Paolo Arrigoni da Lecco. Classe 1964, è attualmente commissario regionale della Lega, dopo essere stato dal 2015 al 2017 responsabile regionale in Abruzzo del movimento “Noi con Salvini”. Si tratta, in realtà di un supercommissario, visto che, in solitudine, gestisce il partito anche a livello provinciale e nel comune di Macerata vista l’assenza sul territorio di figure che potrebbero alleggerirlo del pesante lavoro. Il suo è il profilo di un perfetto proconsole, assolutamente funzionale ai desiderata del “capitano”, nel momento in cui questi dovesse salire, in futuro e in solitudine, le ambite scale di Palazzo Chigi. Non a caso, solo qualche giorno fa, Arrigoni ha annunciato in pompa magna, il finanziamento per quasi novanta milioni di euro – combinazione proprio per il 2020 – per l’intervalliva San Severino-Tolentino. Ricevendo, peraltro, anche il plauso di esponenti di primissimo piano del centrosinistra. Si tratta di una doccia fredda che ridimensionerebbe di molto le ambizioni di Guido Castelli il quale, nel corso degli ultimi due anni, ha cercato di accreditarsi anche negli ambienti moderati, presenziando spesso alle iniziative organizzate dalla Fondazione Merloni. Nel corso dell’ultima, organizzata a Fabriano in occasione della giornata dell’Unesco, la doccia si rivelata addirittura gelata. Era in corso un dibattito sui destini dell’Europa con Romano Prodi, Enrico Letta e Ferruccio De Bortoli, quando ha preso la parola Francesco Merloni, presidente della omonima Fondazione che, dopo aver articolato un breve ragionamento economico, rivolto alla platea, ha pronunciato la seguente frase: «Se volete salvare i vostri risparmi non votate Salvini». Una presa di posizione forte e decisa da parte dell’ingegnere, stranamente passata inosservata.

Francesco Casoli

Terzo e fino a oggi ultimo potenziale candidato per il centrodestra, è Francesco Casoli, già senatore di Forza Italia nella XV e XVI legislatura. Ma soprattutto presidente del gruppo industriale Elica, protagonista mondiale nella realizzazione di cappe da cucina. Nella sua doppia veste di imprenditore e politico non ha mancato di polemizzare con Ceriscioli per la scarsa attenzione da lui dimostrata nei confronti degli imprenditori. Fervente fautore di ogni tipo di innovazione, non ha però dietro la propulsione necessaria per poter competere con i politici a tutto tondo. Forza Italia, qui nelle Marche è ormai prossima alla fine. Le ultime Europee hanno decretato che non arriva nemmeno a 42mila e 400 voti. Che sono meno degli oltre 44mila e 600 presi dal partito della Meloni. Una débâcle ampiamente annunciata sin dalla vigilia delle elezioni politiche dello scorso anno. Il commissario regionale Marcello Fiori che, a parole, avrebbe dovuto rilanciare e rivitalizzare il partito, non solo lo ha dimezzato, ma ha cancellato, quasi per intero, la sua classe dirigente. Che peraltro è in gran parte fuggita altrove.

Marcello Fiori

L’unica uscitane a testa alta è stata l’ex coordinatrice provinciale di Macerata, Lorena Polidori: una volta appreso della nomina definitiva di Fiori – intuendo le sue intenzioni e quindi la disfatta – gli ha immediatamente consegnato le dimissioni. Il vero obiettivo di Fiori, infatti, era riportare a Strasburgo Antonio Tajani. Obiettivo raggiunto, ma a caro prezzo: praticamente l’azzeramento dell’intero partito. Non persuasi della disfatta, proprio all’indomani della legnata, in un comunicato congiunto sia Fiori che il senatore Cangini, pur ammettendo il modesto risultato delle Europee, rivendicavano con toni trionfalistici le vittorie a Numana, a Ostra e perfino a Maiolati Spontini. Come a dire che non essendo più in grado di competere nella Champion League, adesso vinceranno il campionato di seconda categoria. Che a pensarci bene è un po’ come il Milan lasciato sempre dallo stesso padrone: Silvio Berlusconi. Di questo passo, grasso che cola se Forza Italia, alle Regionali, arriverà al tre per cento. Considerata la bassissima capacità di attrarre consenso e viste anche le sonore sconfitte patite nell’ambito della coalizione (pesantissima quella di Ascoli Piceno) la forza contrattuale dei berlusconiani è ormai prossima allo zero. Per cui si trovano davanti a un bivio: rivendicare la propria originaria identità e mollare la coalizione di destra, oppure piegare la testa ed eseguire gli ordini del “capitano” Salvini. Quale che sia l’opzione, si tratterebbe sempre di una scelta di testimonianza.

 

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