Un contenzioso che sembra senza fine quello fiorito attorno all’ex ospedale di rete di San Sabino. A distanza di 20 anni dallo stop al cantiere, dell’opera rimasta incompiuta si continua a parlare nelle aule giudiziarie. Nel 2010 il progetto è stato sostituito da quello del nuovo Inrca in costruzione all’Aspio di Camerano. L’iter di realizzazione del complesso sanitario di San Sabino si era interrotto nel 2001 quando il Consiglio di Stato aveva annullato la deliberazione del Consiglio provinciale di Ancona del 1997 che dava il via al progetto, ritenendo illegittima anche la deliberazione della Giunta comunale di Osimo del 1987, con cui era stata dichiarata la compatibilità ambientale dell’opera pubblica su quel terreno di San Sabino. Da 2002 si è aperta una complessa e intrecciata guerra di carte bollate anche in sede civile per definire penali da pagare e risarcimento danni. In origine erano due le cause collegate alla risoluzione del contratto di appalto per l’ospedale mai costruito. Sono state, infatti, realizzate solo le fondazioni nel primo lotto della procedura.
Cause poi riunite nel corso del procedimento di primo grado. In quella promossa dal Comune di Osimo nei confronti dell’Ati stessa e delle singole società che ne facevano parte, si chiedeva la declaratoria dell’intervenuta risoluzione del contratto di appalto e la condanna al risarcimento dei danni quantificati in totale in 4 milioni di euro, di cui 805.517 euro a titolo di penale maturata per la ritardata consegna delle opere e del cantiere. Nel 2008 il Tribunale civile di Ancona con sentenza ha dichiarato risolto il contratto di appalto addebitandone la responsabilità congiunta al Comune, all’Ati, alla concessionaria dei servizi e al direttore dei lavori, ma ha respinto la domanda di corresponsione degli indennizzi. L’Ati e le singole imprese che ne facevano parte hanno promosso appello. Il Comune di Osimo si è costituito in giudizio proponendo appello incidentale per chiedere ai giudici di secondo grado anche di pronunciarsi sulla penale di 805.517 euro chiesta all’Ati.
Con la sentenza del 2017 la Corte d’Appello di Ancona ha dichiarato che lo scioglimento del contratto di appalto era addebitabile al Comune di Osimo e ha determinato in 597.124 euro il credito dell’Ati nei confronti del Comune e in 402.758 euro il credito del Comune nei confronti dell’Ati, procedendo a compensazione dei rispettivi crediti e condannando il Comune al pagamento in favore dell’Ati dell’importo di 194.366 euro, oltre rivalutazione e interessi, confermando per il resto la sentenza di primo grado. Il Comune ha presentato ricorso in Cassazione contro la pronuncia della Corte d’Appello
Ora lo scorso 10 luglio la Cassazione – I Sezione Civile – ha accolto con ordinanza alcuni motivi del ricorso osimano cassando in parte la sentenza di secondo grado e rinviando di nuovo alla Corte d’Appello di Ancona l’esame della questione in base ai principi tracciati dalla suprema corte anche per definire la somma della penale. Per il Comune quindi è necessario proporre l’atto di riassunzione della causa davanti alla Corte d’Appello di Ancona per far valere le ragioni dell’ente accolte dalla Corte di Cassazione. Il Comune deve incassare crediti ma nel frattempo una delle società partecipante all’Ati è fallita nel 2021 e occorre procedere anche all’insinuazione al passivo fallimentare presso il Tribunale fallimentare di Perugia per far valere anche in quella sede la pretesa creditoria del Comune in applicazione dei principi affermati dalla Cassazione. Il 30 ottobre scorso, la giunta comunale di Osimo ha dato mandato di procedere all’avvocato Andrea Galvani.
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