
Claudio Pinti in tribunale, ad Ancona
Da una parte, la revoca degli arresti domiciliari. Dall’altra, l’attesa per la decisione della Corte di Cassazione se rendere o meno definitiva la sentenza di condanna a 16 anni e 8 mesi. Claudio Pinti, il 38enne jesino accusato di aver infettato consapevolmente due ex compagne con l’Hiv, dovrà aspettare fino al 15 dicembre per conoscere il suo destino. Ieri mattina, davanti ai giudici romani c’è stata la discussione dell’ultimo capitolo dell’inchiesta nata del 2018. Dopo ore di camera di consiglio, il presidente – attorno alle 23 – ha però deciso di rinviare la decisione, data la complessità della vicenda. Nel frattempo, però, un altro collegio della Cassazione si era espresso sul ricorso presentato giovedì dal difensore Massimo Rao Camemi contro il provvedimento del Tribunale del Riesame che lo scorso maggio ha disposto il ritorno di Pinti in carcere. Il ricorso è stato rigettato. Dunque, il 38enne deve tornare in cella. Il processo pendente è aperto per due reati: omicidio volontario e lesioni personali gravissime. La prima accusa si riferisce alla morte di Giovanna Gorini, ex convivente dell’imputato e madre di sua figlia. la donna è morta nel giugno 2017 per una patologia legata all’Hiv, virus che – stando alla procura – le avrebbe veicolato Pinti stesso. Le lesioni sono riferibili a quella patite da Romina Scaloni, ex fidanzata del 38enne che – appena scoperto la sieropositività nel maggio del 2018 – lo ha denunciato alla Squadra Mobile, rendendo possibile l’inizio dell’indagine, terminata ini prima battuta con l’arresto dello jesino. A Roma, ieri, oltre al difensore dell’imputato, c’erano i legali delle parti civili: Alessandro Scaloni per Romina, Elena Martini e Cristina Bolognini per la famiglia di Giovanna.
(fe.ser)
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