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Tamberi torna nel suo Palaindoor:
«Ho sacrificato la mia vita per l’Olimpiade,
ero convinto che sarei stato ripagato»

GIMBO dopo la medaglia d'oro a Tokyo è stato accolto al palazzetto di Ancona dove si allena soprattutto d'inverno dalle istituzioni, dai rappresentanti Coni e Fidal. Allestimento ad hoc con il materasso del salto in alto e l'asticella a 2,37 metri. Con lui la compagna Chiara Bontempi e il padre e allenatore Marco. «Sentivo che era il mio giorno, ero convinto di dover dare un lieto fine alla mia storia, tanto che in finale in pedana ho portato uno zaino con dentro i vestiti per la premiazione. Ho pensato: 'Tanto io su quel podio ci salirò'. Non poteva andare diversamente»

Gimbo Tamberi

 

di Federica Serfilippi (foto di Giusy Marinelli)

«Sentivo che era il mio giorno, ero convinto di dover dare un lieto fine alla mia storia, tanto che in finale in pedana ho portato uno zaino con dentro i vestiti per la premiazione. Ho pensato: ‘Tanto io su quel podio ci salirò’. Non poteva andare diversamente». E diversamente non è andata, perchè Gimbo Tamberi non si è accontentato di salire sul podio, ma addirittura è salito sul gradino più alto, condividendo la medaglia d’oro con l’amico/rivale di sempre, il qatariota Mutaz Barshim. Dalla gloria ottenuta sulla pista di Tokyo sono passati tre giorni.

Gimbo e Marco Tamberi, papà e allenatore

Ieri, il campione olimpico di salto in alto è tornato ad Ancona. Oggi pomeriggio, è stato accolto al Palaindoor, palazzetto dove si allena soprattutto d’inverno, dalle istituzioni, dai rappresentanti Coni e Fidal e dai giornalisti in un incontro chiuso al pubblico. Gimbo ha raccontato il percorso che lo ha portato alla vittoria: dall’infortunio gravissimo subito nel luglio 2016 alla caviglia, poco prima di partire per le Olimpiadi di Rio, fino al riscatto ottenuto in Giappone, passando per i sacrifici, gli allenamenti, le lacrime. «Ho sacrificato la mia vita per arrivare a Tokyo. Ero convinto che sarei stato ripagato. Il giorno della finale mi sono svegliato e non avevo alcun dubbio: lo sapevo, perché aspettavo quel momento da troppo tempo». L’ultima gara prima di approdare in Giappone era stata a Montecarlo, con un risultato tutt’altro che roseo in vista della partenza per Tokyo:  «Mi sono reso conto che aspettavo solo l’Olimpiade. Avevo dentro un’energia enorme che doveva essere sprigionata e l’ho tutta tirata fuori al momento giusto. In finale ero un altro atleta rispetto alle qualificazioni». Dal giorno dell’infortunio sono passati cinque anni: «Sono stati difficili, con tanti ostacoli in mezzo. Ogni momento trascorso sembrava essere più difficile di quello precedente e ho avuto dubbi sulla possibilità di poter tornare ad alti livelli. Ho riiniziato con il salto solo per poter vincere la medaglia d’oro, dopo non essere potuto andare a Rio per giocarmela. Ho visto tante notti insonni, ho versato lacrime, non mi sono goduto un singolo giorno del percorso vissuto in questi anni. Fino a domenica: non pensavo di poter provare un momento di estasi del genere, mi sentivo il cuore esplodere. La gioia è arrivata dopo un dolore enorme. Posso dire che l’infortunio è stata la più grande benedizione del mondo. Fino a pochi giorni fa, la mia carriera era sinonimo di sfortuna, ero famoso per essermi fatto male. Oggi posso dire di essere conosciuto per ciò che valgo».

Tamberi con Fabio Luna, presidente Coni Marche

Sulla medaglia condivisa con Barshim: «E’ un grandissimo amico con cui ho condiviso tutta la carriera. Abbiamo passato tutto insieme, anche lo stesso infortunio. Dopo l’ultimo salto (2.39 metri, non riuscito, ndr) sono corso ad abbracciarlo e gli ho sussurrato: ‘Andrà come andrà, abbiamo fatto qualcosa di straordinario’. Aver condiviso la medaglia d’oro con lui è stata la ciliegina sulla torta. Con tanti altri atleti non l’avrei fatto. Sono un agonista nato, non avevo paura di perdere. E’ stato un gesto d’amore reciproco: nessuno dei due aveva intenzione di levare all’altro il sogno più grande della vita». Al Palaindoor, accanto al campione, c’erano il padre/allenatore Marco («Volevo andare in pista ad abbracciarlo ma le gambe non hanno retto») e l’inseparabile compagna Chiara Bontempi, promessa sposa. Il palazzetto è stato allestito con una scenografia ad hoc: il materasso del salto in alto e l’asticella a 2,37 metri. Il presidente Francesco Acquaroli: «Ci hai resi orgogliosi, dando un segnale positivo a una regione che ha bisogno di stimoli e a un’Italia che sta nuovamente alzando la testa. Grazie, il tuo esempio non è solo una vittoria sportiva, ma un esempio per tanti giovani. Speriamo al più presto di festeggiare insieme questa pagina di storia che hai scritto». Per il Comune di Ancona era presente l’assessore allo Sport Andrea Guidotti: «Grazie Gimbo perchè ci hai portati sul tetto del mondo, ci hai regalato giorni di emozioni uniche e un grande insegnamento per tutti i ragazzi che in te hanno visto chi non molla mai, neanche dopo un grave infortunio capitato all’apice della carriera. Non era facile rimettersi in gioco, ma non hai mollato di un centimetro. La tua è la testimonianza incredibile di un film fantastico». Emozionato il presidente del Coni Marche Fabio Luna: «Abbiamo scritto una pagina di storia dello sport italiano. Siamo orgogliosi che l’abbia fatto un atleta della nostra regione».

Gimbo e Marco Tamberi

Chiara Bontempi

Acquaroli, Tamberi e l’assessore allo sport regionale Giorgia Latini

Guidotti, Tamberi e Latini

 

 

 

 

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