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Cantieri navali, Fiom denuncia:
“Caporalato e paga di 7 euro all’ora”

ANCONA - Esposto in procura del sindacato dei metalmeccanici: c’è anche chi paga per poter lavorare. “E’ un esercito schiavo. Abbiamo trovato una decina di lavoratori disposti a denunciare tutto” dichiara il segretario delle tute blu di Ancona Sara Galassi

I cantieri navali in una foto d’archivio di Giusy Marinelli

 

di Emanuele Garofalo

Il lavoro ai cantieri navali c’è fino al 2020, ma non per tutti è un lavoro sicuro e giustamente pagato. Anzi, per la maggior parte delle tute blu che ogni giorno varcano i cancelli dell’arsenale dorico, è un lavoro retribuito 7-8 euro all’ora, senza straordinari, ferie, Tfr o malattie. Oppure, peggio, è un lavoro ottenuto sotto il ricatto del caporalato: dalla prima busta paga 500 o 600 euro vanno a finire in tasca al “caporale” che recluta direttamente nella banchina davanti alla mensa, tra il popolo dei disoccupati. Non solo Fincantieri, funziona così in tutta la cantieristica di Ancona. A denunciarlo è stata la Fiom, che ha presentato il suo esposto in procura contro lo sfruttamento del lavoro e le irregolarità nel sistema della cantieristica. “Sono forme di ricatto che combattiamo da anni, ma che non conviene a nessuno eliminare” commenta il segretario Fiom di Ancona Sara Galassi. Per dare corpo a questa denuncia in procura, il sindacato delle tute blu è riuscito a convincere una decina di operai che, nonostante la paura di ritorsioni, ha raccontato l’intera catena di soprusi subita dai lavoratori. Dietro ai gioielli del mare infatti ci sono anche loro, l’esercito della ditte degli appalti: a fronte dei 500 operai di Fincantieri, con il regolare contratto nazionale da metalmeccanici, ci sono i 2 mila lavoratori delle ditte esterne. Per entrare in questo esercito si passa anche dal caporalato, diverso da quelli dei campi dell’agricoltura. Si possono spuntare sei o sette mesi di lavoro, basta “pagare” l’ingresso di 500 o 600 euro a chi può assumere. E davanti ai cancelli c’è sempre qualcuno che aspetta di entrare. “E’ una tangente” taglia corto Galassi. È il prodotto della giungla di circa 200 società indipendenti da Fincantieri, ma che lavorano in appalto alle commesse dei cantieri navali. Un sistema su cui Fincantieri già più volte ha dichiarato di non poter fare nulla: le società sono libere di contrattare con gli operai le singole prestazioni di lavoro. Che quasi sempre significa chiudere un accordo a “paga globale”: 7 o 8 euro all’ora, tutto compreso. Pur di lavorare si rinuncia a tutto: malattie, ferie, Tfr, straordinari, tredicesima. E se una tuta blu, da contratto nazionale, dovrebbe fare 173 ore al mese, un operaio delle ditte in appalto può superare le 200 ore al mese, ma può sforare anche le 250 ore. Tutto pur di portare a casa uno stipendio considerato decente. La Fiom lo chiama “lavoro grigio”, non è in regola, ma nemmeno nero.

Un interno dei cantieri navali minori, foto d’archivio Giusy Marinelli

“Le buste paga di questi lavoratori sono solo pezze d’appoggio che non dichiarano nulla del lavoro svolto e dei compensi ricevuti. Quasi tutti hanno delle indennità di trasferte altissime, perché coprono in realtà tutte le ore di straordinario fatte, visto che le trasferte non sono tassabili. E’ la monetizzazione dei diritti di un esercito schiavo che si sposta dove c’è lavoro” spiega Sara Galassi. Un sistema che porta ad una continua degenerazione: se il lavoratore non prende lo stipendio per mesi, non sporge denuncia, perché altrimenti la ditta può perdere l’appalto e così addio al lavoro. Chi subentra infatti non è obbligato a riassorbire chi ha perso il posto di lavoro della precedente impresa. Per cercare di arginare questi fenomeni, lo scorso ottobre c’è stata l’ultima importante ispezione del nucleo carabinieri dell’ispettorato del lavoro e della Guardia di finanza all’interno dell’arsenale. “Stiamo aspettando di sapere a quali risultati ha portato questa verifica, ma purtroppo sono anni che denunciamo queste situazioni e non vediamo cambiamenti” conferma la rappresentante Fiom, alle prese con una battaglia contro i mulini a vento. Il sistema delle ditte è diventato la regola. “Guardate la Isa rilevata da Palumbo: dichiarano di avere commesse per 3 yacht, ma non vogliono assumere più di 50 operai. Allora chi lo fa il lavoro?” chiede Galassi. Inutile finora la richiesta di un protocollo sulla trasparenza avanzato alla Prefettura per far emergere tutto questo “lavoro grigio”. Quando il lavoro è concluso, la nave varata e pronta alla consegna all’armatore, durante i “workers day” dedicati agli operai e alle loro famiglie che salgono a bordo per ammirare il risultato dei loro sforzi, l’orgoglio dei lavoratori è reale, ma non cancella l’ingiustizia delle centinaia di ore sottopagate.

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