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Ciriachino a don Giancarlo Sbarbati,
una vita al fianco dei più fragili

ANCONA - La massima benemerenza al parroco di Cristo Divino Lavoratore che da oltre vent'anni insieme alle cooperative Amore e vita e Papa Giovanni XXIII dà sostegno ad anziani e disabili. E poi l'impegno e la passione per lo sport con le squadre Mantovani. "Il riconoscimento, un grazie a tutte le persone che rendono possibile ogni giorno il grande lavoro della solidarietà"

Don Giancarlo Sbarbati (foto d’archivo)

 

di Agnese Carnevali

È arrivato ad Ancona nel ’75 da Ripe San Ginesio, piccolo paese del Maceratese. Sei anni di “gavetta” come vice parroco alla Misericordia, poi nell’81 l’arrivo a Cristo Divino Lavoratore dov’è sempre rimasto. Un impegno che è andato oltre quello di riferimento spirituale per la comunità dei fedeli, quello di don Giancarlo Sbarbati che domani alle 12 riceverà dalle mani del sindaco il Ciriachino d’oro. Ad essere premiati a piazza Cavour anche i presidenti delle associazioni Piano San Lazzaro e piazza D’Armi, Massimo Domizi e Francesco Javarone, e Franco Amatori, docente della Bocconi, esponente di una delle famiglie più note della città, titolari dell’omonima agenzia marittima (leggi l’articolo). Quella di don Sbarbati è stata una vita dedicata al sociale, all’aiuto dei più bisognosi, soprattutto anziani e disabili. Mai pago, mai abbattuto dalle difficoltà, sempre determinato ad andare avanti. Nel ’77 la prima esperienza di accoglienza con la casa Carlo Antognini, per l’ospitalità dei familiari dei pazienti ricoverati negli ospedali della città. Poi a metà degli anni ’90 la fondazione delle due cooperative, Amore e vita e Papa Giovanni XXIII, che hanno sempre più ampliato la loro attività. Senza dimenticare la passione per la promozione sportiva.

Don Sbarbati, come ha preso la notizia del Ciriachino?

«Sono molto contento ed orgoglioso, non tanto per me, ma per tutte le persone che hanno reso e che rendono possibile ogni giorno quello che facciamo per gli anziani ed i disabili, ma anche per tutto il quartiere e la nostra comunità. Questo gradito riconoscimento è un grazie soprattutto per loro. Il modo migliore per festeggiare i nostri primi vent’anni di attività».

Com’è iniziato tutto?

«Dopo l’esperienza della casa Carlo Antognini nel ’77, ho deciso di guardare a quelle povertà cittadine che mi stavano più a cuore, gli anziani ed i disabili. Così nel ’96 abbiamo aperto un centro per anziani non del tutto autonomi, che non potevano muoversi da soli e a proporre loro animazione, merende, occasioni per stare in compagnia per combattere la solitudine. Quando si è soli si inizia a pensare alle cose brutte a quello che non si è più, a quello che non si è mai stati ed è inevitabile buttarsi giù di morale. Credo che grazie alla nostra accoglienza in tanti abbiano ritrovato la gioia di vivere. Abbiamo così fondato la cooperativa Amore e vita. Un anno dopo, nel ’97 è iniziata la nostra attività rivolta ai disabili. Questo mese festeggiamo proprio i vent’anni di attività».

Quella al fianco dei più fragili che storia è stata?

«È sempre stato un crescendo, grazie alle persone che mi hanno aiutato, oggi tra le due cooperative Amore e vita e Papa Giovanni XXIII siamo circa 80 persone. La Papa Giovanni gestisce due centri diurni con 28 ragazzi con famiglia e due residenziali con 17 persone senza famiglia, Il Samaritano e don Paolucci. Da qualche tempo abbiamo anche aperto un centro per ragazzi con difficoltà di apprendimento grazie all’aiuto del dottor Coppa. Insieme all’altra coperativa, nel 2011 abbiamo inaugurato i nuovi locali di via madre Teresa di Calcutta destinato a piccolo residenziale per 16 persone anziane e un mese fa è diventato operativo un centro diurno per anziani moderno ed efficiente grazie anche all’aiuto della Confartigianato».

E nel futuro cosa c’è?

«In autunno inaugureremo un centro per il sostegno a chi è affetto da autismo in collegamento con un centro specializzato di Fano. Stiamo lavorando ora all’apertura di una casa sollievo per ospitare per brevi periodi ragazzi disabili con genitori anziani che fanno sempre più difficoltà a prendersi cura dei figli e che per problemi economici non riescono a trovare posto in altri residenziali. Nel frattempo stiamo avviando anche una cooperazione con l’Inrca ed il Comune di Ancona per affrontare in maniera concreta la demenza senile e l’alzheimer. Noi abbiamo locali, l’Inrca ha un bagaglio tecnico enorme da spendere ed il Comune potrebbe aiutarci con il collegamento con la popolazione e l’informazione. In vista di questo progetto abbiamo già inaugurato il 28 aprile una palestrina senior».

Accanto a questo, poi c’è l’attività sportiva

«Quello dell’attività agonistica e promozionale dello sport è un aspetto che considero altrettanto importante, così nel 2011 abbiamo inaugurato il Pala Massimo in cui si allenano e gareggiano le nostre due squadre, la Mantovani volley ed il calcio a 5 Mantovani che coinvolgono 200 giovani tra bambini e ragazzi più grandi. Ho fatto questa scelta perché volevo aiutare a prevenire certi disagi e povertà della gioventù attuale, tentata da molte cose non buone. Credo che attraverso la pratica sportiva sana, si possano stringere amicizie giuste e coltivare un senso di responsabilità personale e di gruppo».

In vent’anni e più non hai mai avuto un momento di sconforto?

«Sconforto no, forse qualche preoccupazione quando c’erano da pagare i debiti, ma abbiamo avuto aiuti pubblici, soprattutto all’inizio, benefattori privati e piccole, ma preziosissime donazioni».

Com’è cambiato il quartiere e la realtà in cui opera da tanti anni?

«Le trasformazioni sono state molto evidenti, a partire dal quartiere di Posatora, prima operaio, oggi con una forte presenza di immigrati. Viviamo una realtà di periferia direi ed il campo della solidarietà non è sempre dei più facili come non è facile convincere l’anconetano a fare volontariato, ma una volta che ne ha preso coscienza è fedele e presente, una sicurezza e per noi un apporto impagabile. In questo contesto è anche molto cambiata la vita parrocchiale, in questi 40 anni in cui l’ho vissuta».

Cosa intende?

«Un tempo nella vita della parrocchia era più evidente l’impegno sociale, si vivevano situazioni che avevano anche risvolti politici ed umani. Oggi la gente viene in chiesa attirata soprattutto dall’aspetto religioso, si impegna soprattutto nel catechismo e nella preghiera. Credo che i giovani abbiano bisogno di esempi, di testimoni, e la presenza di leader spirituali illuminati come fu Giovanni Paolo II e com’è papa Francesco abbiano svolto un ruolo fondamentale per attrarre i giovani che dopo il crollo delle ideologie vanno alla ricerca di certezze, di momenti di aggregazione dietro ai quali non ci siano interessi particolari. Non mi aspettavo che tanti 30enni e 40enni scoprissero in questo momento storico un interesse religioso».

 

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