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Straniere, diverse o solo troppo brave:
vittime di soprusi denunciano le bulle
Ragazze punite nel voto in condotta

ANCONA – Anni di angherie, dalle minacce sulle chat fino agli insulti. Bersaglio cinque liceali discriminate dalle compagne, che hanno trovato la forza di rivolgersi ai prof e alla dirigente. Gli insegnanti hanno indagato e affrontato il caso davanti all'intera classe, rima di prendere provvedimenti. In quattro si troveranno voti più bassi all'ammissione dell'esame di maturità. E' uno dei primi casi del genere

Liceali del Savoia – Benincasa

 

di Giampaolo Milzi

Come le vogliamo chiamare senza offenderle? Streghette? Piccole pesti? Definiamole protagoniste di reiterati atti di bullismo, secondo una terminologia comune e giuridica. Aurora, Giulia, Viola e Chiara (i nomi sono di fantasia) le regole della civile convivenza a scuola, soprattutto in quest’ultimo e ormai chiuso anno scolastico, se le sono scordate. O forse le hanno interpretate in modo spericolato. Hanno preso di mira in vari modi, soprattutto chattando su WhatsApp, cinque compagne di classe, una quinta del liceo linguistico Benincasa di Ancona: sfottò, sbeffeggiamenti al veleno, anche di stampo xenofobo, battute al vetriolo, promesse di alzar le mani, perfino una minaccia di morte. Alla fine si sono pentite, ma non l’hanno fatta franca. I vertici del liceo – dopo aver ammesso di aver sottovalutato in buona fede la questione – sebbene con ritardo, sono venuti a capo dell’intricato bandolo di una matassa i cui fili neri hanno tessuto anche trame di mobbing. E in sede di scrutinio di classe d’ammissione all’esame di maturità la banda delle quattro ha pagato le sue malefatte, beccandosi un voto in meno in condotta rispetto al 10 ipotetico di partenza: Aurora e Giulia hanno rimediato 7, Viola 8, Chiara 9. E poteva andar peggio, perché prima correva voce che potessero rischiare la sospensione, addirittura la bocciatura. Tutte, in ogni caso, giura la dirigente scolastica Alessandra Rucci, “hanno imparato la lezione, hanno capito di avere sbagliato, di aver afflitto ingiustamente le loro coetanee, ammettendo le proprie responsabilità” nei confronti di Serena, Claudia, Lucia, Anna e Celeste, tutte d’origine non italiana (nomi fittizi anche per loro).
Un passo indietro, per capire il tasso di gravità del vortice di bullismo. Cominciando dalla chat del gruppo di WhatsApp di cui fanno parte le quattro bulle assieme ad altri cinque della classe, fra cui, in qualità di inconsapevole infiltrata, anche Celeste. Una classe divisa, anche nel social via cellulare citato, perché di gruppo WhatsApp di questa quinta ne esiste un altro. Ecco i messaggi “incriminati”: “Serena deve morire”, “E’ obesa”, “Ha il culo grosso, grosso come quello della sua cantante preferita, Demi Lovato”, “E’ la più falsa, la prima con cui chiudiamo i rapporti” (messaggi rimbalzati in aula con commenti e battutacce ad alta voce); prese in giro per i genitori stranieri e ancora, una ragazza definisce nella chat le tartassate “The Marok 5 and the Communism”, riferendosi alla presunta ideologia comunista di una prof che parteggia per loro; Lucia ha subito reiterati insulti in quanto ritenuta sovrappeso; peggio è andata ad Anna, presunta colpevole di essere troppo amica di una prof, “Questa l’attacco al muro”.
Dagli sms all’aula, anche durante le lezioni, la solfa non cambia di molto. Serena ha “un difetto”, parla troppo bene l’inglese! E allora sfottò a go-go durante le interrogazioni da parte delle invidiose di turno. Celeste è quella che ha reagito peggio al bullismo, isolandosi progressivamente dal resto della classe, dove non parlava quasi mai, avvolta da una palpabile gabbia di profonda tristezza. Una gabbia che le avevano iniziato a costruire attorno già dagli anni precedenti. Terzo anno, viaggio-gita in Cina. L’itinerario in pullman segnato da un tormentone: “E’ grassa, ma quanto sei cicciona”. Qualcuno in pullman sferra un calcio sullo schienale della sua poltroncina. Celeste, tra l’altro, ha un’altra “colpa”: in aula, quando lei è assente, ma i prof ci sono e sentono, c’è chi afferma a voce alta, senza citarla, che “guarda un po’, arriva sempre in ritardo (di appena 5 minuti, ndr.) , ma nessuno la rimprovera, mi sa che questa paga la scuola per farla sempre franca”. Celeste è la più sconvolta tra quelle prese di mira, tra l’altro, perché è nel gruppo WhatsApp delle persecutrici. E ha letto tutti i messaggi alle amiche bullizzate. La svolta il 25 maggio scorso: Serena, Claudia, Lucia, Anna e Celeste prendono la decisione da tempo prospettata. Si incontrano con la preside Alessandra Rucci, la vicepreside Giuliana Giuliani e prof.ssa Simona Moschini, referente per gli studenti. Raccontano tutto. Celeste fa leggere gli sms di WhatsApp alle tre interlocutrici, che si appartano per discutere il caso. Poi le cinque ragazze, accompagnate da vicepreside e referente per gli studenti, vanno in classe. Le due, Giuliani e Moschini interrompono la lezione, spiegano che le offese che le ragazze hanno scritto su WhatsApp sono molto gravi.

Alessandra Rucci

Per cui prenderanno provvedimenti: o l’ammissione agli esami per tutte le quattro bulle ma con il 6 in condotta, oppure la bocciatura. Silenzio di tomba. A questo punto, abbiamo incontrato la Rucci e le chiediamo “un replay generale” su tutta la vicenda. La preside risponde provata, ma con franchezza. “Ho scoperto questo caso troppo tardi. Ho convocato i professori del consiglio di classe, chiedendo come mai non mi avessero avvertito prima”. E loro? “Mi hanno detto che avevano saputo qualcosa, ma che a loro avviso non si trattava di atti molto gravi, stigmatizzanti nei confronti di chi li aveva subiti. E che le protagoniste di quegli atti non si erano rese conto, comunque, di ciò che avevano fatto. A questo punto ho chiesto ai docenti di approfondire la questione, di indagare. Ma il chiarimento è stato molto, davvero molto difficoltoso e faticoso. Anche perché la referente per gli studenti e la vicepreside, in prima battuta, mi avevano detto che, dopo aver parlato in classe coi ragazzi, avevano avuto l’impressione che tutto si fosse appianato, pacificato. Ma in realtà non era così”. E allora? “Il 6 giugno ho incontrato di nuovo due delle ragazze che si ritenevano bullizzate, mi hanno detto che una delle altre presunte vittime era stata rincuorata da qualcuno. Così ho fatto una specie di inchiesta più diretta collettiva”. Com’è andata? “Io, la mia vice, la referente per gli studenti e la prof.ssa d’inglese ci siamo riunite con tutti i ragazzi di quella quinta in auditorium. Gli abbiamo spiegato come si configurano gli atti bullismo e la loro gravità, che vanno assolutamente evitati certi comportamenti, che le chat vanno usate con molta cautela. C’è chi ha raccontato del calcio sferrato alla poltroncina di Celeste, hanno ammesso che la classe è spaccata, che esistono due gruppi di WhatsApp. Ma niente di più”. Allora la preside ha lasciato che gli studenti si riunissero da soli, per un confronto più schietto. “Quando sono tornati da me, Serena mi ha detto che le quattro compagne ree di bullismo hanno confessato le loro colpe e con tutti gli altri hanno preso atto del profondo dolore che lei e le sue quattro amiche hanno provato”. Crede di dover fare un’autocritica su come ha gestito questa vicenda? “E’ mancato un dialogo, un confronto chiaro e tempestivo fra tutti, prof compresi. E a tutti ho detto che ciò che è accaduto deve servire a tutti, appunto, d’insegnamento per il futuro, perché non si ripetano episodi del genere”.

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