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Controllo thc nelle coltivazioni di canapa,
convenzione tra Politecnica e Forestali

ANCONA – La sperimentazione – prima in Italia – prevede controlli nei campi, prelievi di campioni ed analisi nei laboratori dell'università per verificare i livelli di Thc e permetterà anche di ottimizzare i metodi analitici utili ai sistemi investigativi

Firma della convenzione tra l’Università Politecnica delle Marche e il Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari carabinieri

 

di Martina Marinangeli 

Le Marche riscoprono la loro tradizione canapicola, ma occhio a cosa si coltiva. Per garantire una filiera che sta tornando ai fasti del passato, il Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari carabinieri e l’Università Politecnica delle Marche hanno siglato oggi (6 agosto) una convenzione – la prima in Italia – per il monitoraggio dei quantitativi di tetraidrocannabinolo (o Thc) contenuto nelle coltivazioni di canapa, al fine di renderle a prova di legge. La sentenza della Cassazione dello scorso 30 maggio ha comportato una stretta sulla commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L. (in particolare, foglie, infiorescenze, oli e resine), ma le parole «salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa» hanno creato confusione, lasciando uno spiraglio interpretativo.
La convenzione nasce dunque con l’obiettivo di intervenire all’origine della questione, monitorando il contenuto di THC nella canapa e nei prodotti della filiera agroalimentare da essa derivati, «così che il consumatore trovi in commercio solo cose lecite – spiega il generale di brigata, Fabrizio Mari, comandante della regione carabinieri forestale Marche – e l’agricoltore sappia cosa coltiva: il contenuto al di sopra dei limiti di legge del THC, infatti, può dipendere dal meteo o dall’ambiente in cui viene coltivata la canapa. Il contadino potrebbe dunque non esserne consapevole. L’obiettivo della convenzione, perciò, è quello di definire un sistema di controlli che tutelino l’intera filiera».

Da sinistra, Natale Frega, coordinatore del progetto, il rettore dell’Università Politecnica, Sauro Longhi e il comandante della regione carabinieri forestale Marche, Fabrizio Mari

La sperimentazione – che prevede controlli nei campi, prelievi di campioni ed analisi nei laboratori dell’università per verificare i livelli di THC – permetterà anche di ottimizzare i metodi analitici utili all’implementazione dei sistemi investigativi impiegati nell’accertamento delle violazioni della normativa vigente. «Se il livello di THC rilevato nella canapa è inferiore allo 0,2% – prosegue Mari – ci sono anche incentivi economici per la coltivazione poiché contribuisce alla limitazione dell’impatto ambientale. Se è tra lo 0,2 e lo 0,6%, siamo nel range tollerato. Se invece supera lo 0,6%, la coltivazione va distrutta, ma non ci sono sanzioni per l’agricoltore». Nelle Marche sono 125 gli ettari di terreno coltivati a canapa, e la maggior parte si trovano nella provincia di Ancona. La legge 242 del 2 dicembre 2016 ne consente la coltivazione, senza autorizzazione, al fine di produrre alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi, per diversi settori industriali e ingegneristici. Normativa che, negli ultimi due anni, ha portato anche all’apertura di numerosi Cannabis light shop. «La nostra non è una convenzione repressiva», ci tiene a precisare il professor Natale Frega, coordinatore del progetto, che effettuerà le determinazioni analitiche dei monitoraggi insieme alla professoressa Deborah Pacetti, entrambi del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali della Politecnica, utilizzando tecniche analitiche avanzate, quali la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa.

«Vuole essere anzi una garanzia per la filiera e per un tipo di coltivazione che da sempre caratterizza la regione». E in effetti, come ricorda il rettore della Politecnica, Sauro Longhi, «la canapa è parte della nostra storia e della nostra tradizione, siamo una regione canapicola. I nostri nonni la coltivavano ed era fondamentale anche per l’economia domestica. Ora si deve solo capire come si possa tornare a farlo nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie vigenti e la convenzione siglata va in questa direzione».

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