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Corpo ‘congelato’
per rimuovere la neoplasia:
a Torrette la tecnica d’avanguardia

ANCONA - Intervento eseguito da un team multidisciplinare di otto chirurghi su un uomo di 69 anni. La temperatura del paziente è stata fatta scendere a venti gradi per intervenire sulla lesione renale che aveva interessato anche il cuore

 

Temperatura del paziente fatta scendere a venti gradi per rimuovere in tempo record una neoplasia renale estesa fino al cuore. E’ la tecnica d’avanguardia che ha portato in sala operatoria un team multidisciplinare sotto l’egida degli Ospedali Riuniti (Lancisi e Umberto I) per intervenire su un paziente di 69 anni. In cosa è consistita la parte centrale dell’operazione? E’ iniziata con l’attivazione della circolazione extra-corporea con arresto di circolo, ovvero l’abbassamento della temperatura corporea fino ai venti gradi, per prevenire lesioni di organi vitali, tra cui il cervello. In pratica, come spiegato in una nota diramata dagli Ospedali Riuniti, «il cuore si ferma e tutto l’organismo viene raffreddato per preservare le sue funzioni, ma il tempo a disposizione è di soli 25 minuti. In questo frangente è possibile agire in contemporanea con 2 equipe: i cardiochirurghi rimuovono la massa cardiaca e i chirurghi vascolari aprono la vena cava. L’azione combinata di entrambi consentiva di asportare completamente la lesione e ricostruire i tessuti aperti». L’operazione è stata completata in 17 minuti per riattivare la circolazione e progressivo aumento della temperatura corporea fino a 36 gradi. Questa manovra è stata eseguita nelle sale operatorie della Cardiochirurgia del Lancisi che sono provviste di macchinari guidati da tecnici specializzati (perfusionisti). I rischi  sono principalmente due: il primo, di tipo neurologico. Per poter rimuovere la massa neoplastica dalla vena cava è necessario arrestare completamente la circolazione del sangue. Il cervello, l’organo più sensibile all’ischemia, viene protetto con l’ipotermia profonda, ottenuta dai cardiochirurghi con la circolazione extracorporea. Il secondo rischio è di tipo emorragico. Infatti, per avviare la circolazione extracorporea è necessario iniettare Eparina (forte anticoagulante) ad alte dosi. Il rischio di emorragia è quindi elevato a livello addominale. «Un’Azienda Ospedaliero Universitaria integrata, dove cresce un team di esperti con professionalità multidisciplinari – afferma il rettore dell’Univpm Gian Luca Gregori – permette di essere un centro di formazione e ricerca oltre che di assistenza e cura, di alto livello, come dimostrato dalle attività del Centro per la Chirurgia Retroperitoneale, unico nelle Marche». Nell’operazione sono stati coinvolti 8 chirurghi (cardio, urologi e vascolari), due anestesitisti e i tecnici perfusionisti. A guidare l’equipe di Urologia, il professor Andrea Galosi. Quella di Cardiochirurgia è stata coordinata dal professor Marco D’Eusanio e quella vascolare dal dottor Luciano Carbonari.

 

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