di Claudia Brattini
La tanto annunciata immunizzazione da SARS-CoV-2 nei più piccoli sta iniziando ad essere sempre più vicina e tangibile. Sono recenti, infatti, i dati diffusi da Pfizer e BioNTech su sicurezza ed efficacia dei vaccini per i bambini tra i 5 e gli 11 anni e che vanno ora al vaglio della FDA (Food and Drug Administration è l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) e all’europea EMA.
Perché è così importante questo passo lo ribadiscono i pediatri e molti studiosi: anche senza patologie pregresse, i bambini sono a rischio di ricovero e devono essere protetti, soprattutto alla luce dei contagi da variante delta in questa fascia di età.
Lasciare una fascia di popolazione non vaccinata aumenta il rischio di nuove epidemie, di incorrere nelle conseguenze dirette dell’infezione e inoltre – aspetto da non sottovalutare – ci sono anche gli effetti legati all’isolamento sociale e alla didattica a distanza, che riguardano soprattutto i bambini gli adolescenti.
Pfizer ha reso noti i dati incoraggianti del trial clinico che in America ha coinvolto 2200 bambini e a cui è stato somministrato un terzo della dose autorizzata per gli adulti ovvero 10 microgrammi.
Nella sperimentazione è entrato anche il piccolo Nicholas, il figlio undicenne dello scienziato Guido Silvestri – capo del dipartimento di Patologia dell’Università Emory di Atlanta – che lo ha annunciato con orgoglio aggiungendo «è una tappa essenziale nella grande marcia verso la vaccinazione universale contro COVID-19, che riteniamo necessaria per ridurre sempre più i danni causati da questo virus molto trasmissibile e clinicamente insidioso».
Come ha ribadito Silvestri alla luce dei numeri emersi «emerge una efficacia nel generare anticorpi neutralizzanti il virus pari a quella dimostrata dallo stesso vaccino nella fascia di età superiore e la sostanziale assenza di effetti collaterali non rari, (quelli rari non potrebbero emergere in questo tipo di trial clinico)».
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