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La variante Omicron sbarca in Europa,
Silvestri: «Risposta immunitaria ridotta,
il virus potrebbe essere più trasmissibile»

COVID - Un caso accertato in Belgio, altri attenzionati in Olanda. Il punto del docente senigalliese direttore del dipartimento di Patologia generale alla Emory University di Atlanta: «Al momento si tratta solo di ipotesi. Rimane il dubbio su cosa potrebbe succedere in Paesi con alto tasso di vaccinazione: bisogna aspettare e vedere. Nel frattempo resta fondamentale accelerare il ritmo e l’offerta vaccinale a livello mondiale»

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Guido Silvestri

 

di Claudia Brattini

La variante Omicron sbarca in Europa e fa paura, borse in crollo e massima attenzione. La variante B.1.1.529 è stata riferita all’Organizzazione mondiale della sanità dal Sudafrica il 24 novembre scorso e proprio in Sudafrica nelle ultime settimane le infezioni sono aumentate molto rapidamente. La Omicron – un caso già accertato in Belgio e altri da attenzionare in Olanda – presenta tantissime mutazioni, alcune di queste stanno interessando la comunità scientifica tanto che il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha diffuso alcune informazioni preliminari secondo cui Omicron potrebbe essere associata a una trasmissibilità molto elevata. Ma perché le varianti di Sars-CoV2 suscitano molte preoccupazioni? Al momento le varianti considerate più pericolose erano l’inglese o Alpha, la Sudafricana o Beta, la Brasiliana o Gamma e l’Indiana o Delta. In tutti questi casi il virus presenta delle mutazioni sulla cosiddetta proteina ‘spike’, ovvero quella che il virus utilizza per ancorarsi alla cellula. Tutte queste varianti hanno dato prova di una maggiore trasmissibilità rispetto al virus ‘originale’, mentre per quanto riguarda l’impatto sull’efficacia delle vaccinazioni i primi studi hanno evidenziato che il ciclo completo con i vaccini già approvati rimane comunque protettivo nei confronti di tutte le Voc. Come accaduto per queste varianti resta senz’altro importante tracciarne la diffusione e verificarne le caratteristiche attraverso gli studi e il sequenziamento. Per quanto riguarda la Omicron i riflettori si sono accesi tanto da destare borse in crollo e misure precauzionali intraprese da moltissimi Stati, ma dal punto di vista scientifico cosa sappiamo? Fa il punto Guido Silvestrisenigalliese direttore del dipartimento di Patologia generale e medicina di laboratorio alla Emory University di Atlanta –, intervenuto nel dibattito sul tema sulla pagina Facebook Pillole di ottimismo. Silvestri ha spiegato che dalle caratteristiche emerse finora «la Omicron presenta diverse mutazioni in differenti porzioni virali, e alcune di queste si ritrovano a livello della spike che, come sappiamo, è la chiave di accesso del virus alle nostre cellule e proteina bersaglio principale degli anticorpi. Alcune mutazioni – ha aggiunto – sono note ma se ne aggiungono altre tre mai viste prima che, probabilmente, conferiscono al virus proprietà biologiche significative. Questo fa ipotizzare che la risposta neutralizzante verso questa variante possa essere ridotta e che il nostro sistema immunitario possa non neutralizzare il virus efficacemente come vorremmo, rendendolo così più trasmissibile».

vaccino_Pfizer-DSC_1219--325x217Il virus, per sua natura, tende a “migliorarsi”, a trasmettersi con più facilità e anche ad eludere l’effetto dei farmaci e dei vaccini. Questo meccanismo, però, si attua se trova un ampio numero di soggetti suscettibili – ovvero non vaccinati – in cui replicarsi e mutare. Inoltre, molti studiosi sono d’accordo nell’affermare che il virus non può neanche mutare all’infinito perché le posizioni possibili sono in numero limitato. Tuttavia, non si può prevedere in maniera certa quanto e come muterà ancora questo virus, è possibile che le varianti di Sars-CoV2 potenzialmente preoccupanti possano continuare ad emergere per tutta la durata della pandemia ma, come ha sottolineato Silvestri sulla situazione odierna, «al momento siamo in grado solo di ipotizzare che la presenza di alcune mutazioni si possano correlare con una maggiore trasmissibilità del virus (ma non necessariamente superiore alla Delta) o con la capacità di sfuggire alla protezione conferita dagli anticorpi indotti dalla vaccinazione o dall’infezione naturale». Ci troviamo, tuttavia, in mancanza di studi ed evidenze per trarre delle conclusioni ma secondo Silvestri non è altresì scontato che si debba necessariamente verificare lo scenario di una riduzione o una perdita di efficacia nella protezione dei vaccini dallo sviluppo della malattia e dalle forme più gravi, o dalla morte. Del resto, spiega il professore «così non è stato per altre varianti fin qui circolate, anche quelle più trasmissibili, come appunto la Delta, una ridotta capacità neutralizzante degli anticorpi (da vaccino o da infezione naturale) non esclude che altre componenti della risposta immunitaria (l’immunità innata e l’immunità cellulare) non siano mantenute, considerando che esse sono rivolte verso bersagli meno soggetti a mutazioni». Prima di cedere al catastrofismo, «è bene ricordare – ha aggiunto Silvestri – che siamo ancora nel campo delle ipotesi». Sono necessari ulteriori dati per poter affermare con certezza come si traducono queste mutazioni del virus in campo clinico. «L’Africa – ha concluso il professore – parimenti ad altre estese zone del mondo, rappresenta un incubatore importante per la circolazione del virus a causa del ritardo inaccettabile nelle politiche vaccinali e l’emergenza di nuove varianti dipende grandemente dallo stato vaccinale della popolazione (che in Sudafrica, e non solo, è particolarmente bassa). Rimane quindi il dubbio di cosa potrebbe succedere in Paesi con alto tasso di vaccinazione: ma anche in questo caso bisogna aspettare e vedere. Nel frattempo resta fondamentale accelerare il ritmo e l’offerta vaccinale a livello mondiale».

 

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