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Cannabis light, la Cassazione:
«Se viene commercializzata
non vale la legge sulla coltivazione»

SENTENZA - I giudici hanno stabilito che vendere prodotti a base di canapa come foglie e infiorescenze ricade sotto la legge sulle droghe (Dpr 309/90). Oggi sono arrivate le motivazioni della sentenza dello scorso 30 maggio

 

 

di Gianluca Ginella

Sentenza cannabis light, la Cassazione: «Non vale la legge sulla coltivazione per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa, in particolare foglie infiorescenze, olio, resina ma vige il testo sulle droghe (il Dpr 309/90)». Questo in sintesi dice la Cassazione, che ha deciso a sezioni unite: la cannabis si può vendere salvo non abbia efficacia drogante o psicotropa e nel caso si rischia il reato di spaccio. La motivazione sentenza è arrivata oggi. Tutto è cominciato da un ricorso del pm Irene Bilotta di Ancona in seguito al sequestro di 13 chili di foglie di canapa, il 22 giugno 2018, in un negozio della città dorica, di proprietà di un civitanovese, che vende cannabis light e che il tribunale del Riesame aveva annullato.

Il pm Bilotta

La questione non era chiara e alla fine la Cassazione ha deciso di tenere una udienza a sezioni unite per dare la linea da tenere. La sentenza c’era stata il 30 maggio ma le motivazioni sono arrivate oggi. E in effetti gli ermellini, come sembrava già lo scorso 30 maggio hanno dettato una linea chiara: ossia che la cannabis light una volta messa in commercio non rientra nella legge per la coltivazione, ma nel testo sulle droghe. Dunque chi vende la cannabis rischia, se trovato un valore drogante, quantomeno una denuncia per spaccio di droga. Passaggio chiave delle 19 pagine di motivazioni, è a pagina 18 al paragrafo 8. «La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa – scrivono i giudici nella sentenza – e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole». E citano inoltre la direttiva europea che indica quali prodotti possono essere commercializzati, «sicché la cessione, la vendita e in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa, quali foglie, infiorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’articolo 73 del Dpr 309/90 (quello sulle droghe, ndr) anche a fronte di un contenuto inferiore di Thc ai valori indicati dalla legge 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività». Questo scrivono i giudici che aggiungo inoltre che il contenuto di Thc indicato nella legge sulla coltivazione non vale per la coltivazione e non per la commercializzazione. I giudici hanno quindi annullato il dissequestro e rimesso tutto al tribunale del Riesame di Ancona. Una battaglia quella sulla commercializzazione della cannabis light che in Italia è partita da Macerata e dalle iniziative del questore Antonio Pignataro e del procuratore Giovanni Giorgio. La Cassazione con questa sentenza ha dato loro ragione.

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