Tasso di disoccupazione femminile nelle Marche al 10,7%: il più alto delle regioni del Centro che stanno registrando una diminuzione. A far luce su una questione quanto mai preoccupante è la Cgil Marche, sulla base dei dati forze lavoro pubblicati dall’Istat. I valori sono relativi al secondo trimestre dell’anno. Se l’occupazione femminile è stabile rispetto allo stesso periodo dell’anno passato, il numero delle lavoratrici dipendenti scende a 210 mila unità, 10 mila in meno rispetto al 2018 (-4,5%). Un calo nettamente superiore a quello dei lavoratori dipendenti maschi, comunque preoccupante (-2,4%). Fatta eccezione per il commercio, settore nel quale le lavoratrici dipendenti sono stabili, le stesse diminuiscono in tutti gli altri settori, dall’industria manifatturiera (-7,1%) ai servizi (-4,7%) e all’agricoltura e anche nelle costruzioni. Torna così a salire in modo rilevante anche il numero delle donne in cerca di lavoro: 33 mila donne, il 12,6% in più rispetto allo stesso periodo di un anno fa. «Numeri che preoccupano e che si sommano a quelli di vecchie diseguaglianze dure da superare tra donne e uomini sul lavoro – dichiara Daniela Barbaresi, segretaria generale della Cgil Marche -. Nei giorni scorsi il Consiglio regionale ha fatto l’importante scelta della doppia preferenza di genere: una scelta che dà valore e sostanza alla democrazia paritaria. Ora, istituzioni, forze sociali ed economiche uniscano le loro forze per costruire un paese a misura di donne». «Le donne, anche nella nostra regione, continuano a fare i conti con un lavoro che non c’è, o è un lavoro instabile, precario o di bassa qualità, che si accetta per mancanza di alternative – insiste Barbaresi -. Lavori con orari sempre più ridotti, anche a poche ore la settimana, con part time troppo spesso involontari che rendono parziali anche paghe e diritti». Secondo la segretaria generale Cgil, «questi numeri vanno aggiunti a quelli delle tante, troppe lavoratrici madri che lasciano il lavoro alla nascita di un figlio: l’anno scorso nelle Marche sono state 866. Ogni 12 bambini che nascono, c’è almeno una lavoratrice che lascia un lavoro stabile, spesso costretta a una scelta obbligata per le difficoltà che incontra sul lavoro o per la mancanza di una rete adeguata di servizi accessibili e sostenibili economicamente. A queste si sommano le tante lavoratrici precarie per le quali un figlio significa spesso non veder rinnovato il contratto di lavoro». In sostanza, secondo Barbaresi, le priorità sono due: affermare la cultura della condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne e garantire una rete adeguata e strutturata di servizi, da quelli per l’infanzia a quelli per anziani e non autosufficienti. «Part time, lavoro precario e carriere interrotte per il lavoro di cura – afferma la segretaria generale – sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono agli enormi divari retributivi tra donne uomini, tanto che nelle Marche le donne percepiscono mediamente 15 mila euro lordi l’anno, ovvero 7 mila euro in meno rispetto agli uomini, pari al 32% in meno. E’ necessario che la contrattazione, da quella nazionale e decentrata, sociale e territoriale, ponga al centro le reali condizioni di vita e di lavoro, l’organizzazione del lavoro, il riconoscimento di competenze e professionalità, la retribuzione e la necessaria ricomposizione del lavoro sempre più discontinuo e parziale e anche un sistema di welfare adeguato».
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