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Carlo Urbani moriva 17 anni fa:
«Mio padre col suo sacrificio
evitò la pandemia della Sars»

IL RACCONTO del figlio Tommaso, oggi impiegato in una Ong: «Il 28 febbraio del 2003 venne chiamato dal French Hospital di Hanoi come esperto per valutare un uomo affetto da qualcosa di mai visto prima. Iniziò a lavorare a quel caso e lanciò subito l’allarme e riuscì a convincere i governi a chiudere le frontiere». Il piano elaborato dal medico marchigiano per contrastare le epidemie è usato ancora oggi dall'Oms

 

Il medico Carlo Urbani scomparso nel 2003 a causa della Sars

 

di Francesca Marsili

«Avevo 15 anni quando mio padre morì di Sars, la stessa che stava studiando. Era in aereo quando iniziò ad accusare febbre alta e tosse secca. Stava andando a Bangkok a tenere una conferenza proprio sulla malattia. Chiamò i suoi colleghi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo attendevano in aeroporto dicendo loro di non avvicinarsi, di fargli trovare un’ambulanza e di portarlo in isolamento. Grazie al suo sacrificio mio padre evitò la pandemia». Nel giorno dell’anniversario della morte dell’infettivologo anconetano Carlo Urbani, è suo figlio Tommaso a rievocare la figura di un grande medico, esempio di coraggio che ha dedicato la sua vita al prossimo. Era il 29 marzo del 2003.

Tommaso Urbani

Ma a riaccendere il ricordo di Carlo Urbani, come un terribile dèjà vu oggi, non è solamente una data, ma una preziosa eredità che ritorna attuale nella terribile emergenza Coronavirus che il mondo sta attraversando. Fu proprio il medico marchigiano ad elaborare, durante il diffondersi della Sars nel 2003, un piano anti-pandemie chiamato appunto metodo Urbani, lo stesso adottato dall’Oms secondo cui rappresenta tuttora, un protocollo internazionale per combattere questo tipo di epidemie. Quella che Carlo Urbani mise in piedi fu una grande prova generale in caso di pandemia. «Nel 2003, io e tutta la mia famiglia vivevamo in Vietnam. Mio padre era un funzionario inviato dall’Organizzazione mondiale della sanità ad occuparsi di malattie parassitarie nel sud-est asiatico – racconta a Cronache Maceratesi il primogenito Tommaso oggi 33enne operatore umanitario per una ong italiana rientrato da poco dalla Nigeria -. Il 28 febbraio di quell’anno papà, venne chiamato urgentemente dal French Hospital di Hanoi come esperto per valutare un uomo affetto da qualcosa di mai visto prima. Iniziò a lavorare a quel caso. Lanciò subito l’allarme all’Oms e con molta fatica riuscì a convincere i governi a chiudere le frontiere e adottare misure di quarantena». Tosse, febbre e strane polmoniti si stavano diffondendo ovunque e lanciavano un’ombra di terrore in tutto il mondo, ma l’intuizione di Carlo Urbani risultò decisiva. Era riuscito ad identificare la Sars. Ma per una sorta di impietosa pena del contrappasso, il medico anconetano originario di Castelplanio, dopo aver scoperto la malattia la contrasse.

Diretto verso Bangkok da Hanoi per parlare ad una conferenza della Sars, il 18 marzo, iniziò a sentirsi febbricitante e capì subito di essersi ammalato. Dall’ospedale di Bangkok chiamò sua moglie Giuliana e le chiese di riportare i tre figli Tommaso, Luca e Maddalena a Castelplanio. Non riuscì neppure a salutarli per evitare il contagio. «L’ultima volta che ho sentito mio padre è stato al telefono, poi lo hanno intubato e non ho più potuto parlare con lui» ricorda Tommaso. Morì dopo 19 giorni di isolamento. Grazie alla prontezza di colui che l’allora Presidente Ciampi definì “eroe della Repubblica italiana” e a cui è intitolato l’Ospedale di Jesi, si è potuto scongiurare il diffondersi dell’epidemia. «Quando è scoppiato il focolaio di Wuhan, il collegamento è stato inevitabile. Oggi più che mai, vorrei che il sacrificio di mio padre sia servito e non fosse dimenticato. Difficile scordare quei momenti, un’onda ci travolse. Sono stato fortunato a vivere accanto a lui, mi ha dato la possibilità di conoscere paesi come il Vietnam e la Cambogia dove oggi tutta la mia famiglia conserva ancora grandi amicizie. Era un uomo intenso e coinvolgente: quando ci raccontava le sue storie ci rapiva. Se lavoro nell’ambito umanitario è proprio grazie al percorso fatto con papà. Spero che l’epidemia di Coronavirus cessi al più presto ma c’è bisogno del contributo e la cooperazione di ogni singola persona in tutto il mondo» conclude Tommaso Urbani.

L’Associazione Italiana Carlo Urbani, ha attivato una raccolta fondi per l’emergenza Covi-19, il cui ricavato sarà destinato all’acquisto di materiale sanitario per l’ospedale Carlo Urbani di Jesi. Un gesto per ricordare il contributo del dottor Urbani nella lotta contro la Sars che può tradursi oggi, nell’aiuto ai pazienti e nel sostegno al personale sanitario impegnato in prima linea in questa difficile emergenza.

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