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«Sentenza non scontata per Oseghale,
riconosciuto il lavoro dell’accusa»
La famiglia porta fiori per Pamela

MACERATA - Mille giorni dopo il delitto della 18enne c'è stata la decisione dei giudici della Corte d'assise d'appello di Ancona. Il procuratore generale Sergio Sottani: «Segnale positivo del sistema giudiziario marchigiano che si sia arrivati in tempi celeri a concludere sia il primo che il secondo grado di giudizio». La difesa intanto annuncia ricorso in Cassazione. Lo zio della ragazza uccisa: «Ricevuto tante testimonianze di solidarietà. Noi non ci fermiamo»

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La foto di Pamela nel giardino di via Spalato

 

di Gianluca Ginella

Sono passati quasi mille giorni dall’omicidio di Pamela Mastropietro: 990 quelli trascorsi per arrivare alla sentenza di secondo grado che ieri ha confermato la condanna all’ergastolo per Innocent Oseghale, secondo quanto è stato chiesto dall’accusa ai giudici della Corte d’assise d’appello di Ancona. «Era un processo indiziario, e come in tutti i processi di questo tipo la sentenza non era scontata» dice il procuratore generale Sergio Sottani, che ha sostenuto l’accusa insieme al sostituto Ernesto Napolillo.

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Il pg Sergio Sottani nel corso della requisitoria

Una sentenza che arriva a poco più di due anni dai fatti «e questo credo sia un buon segnale da parte del sistema giudiziario marchigiano e del lavoro di tutti gli uffici. Anche considerando che pure la vicenda di Luca Traini (che per reazione al delitto della 18enne sparò a sei persone di origini africane, ndr) si è conclusa in tempi celeri» continua Sottani. Il procuratore generale si dice soddisfatto «non per l’ergastolo, di un ergastolo non si può mai essere soddisfatti perché vuole dire che prima c’è stato un dramma, ma per il riconoscimento del lavoro che è stato fatto». Le indagini sull’omicidio di Pamela sono state condotte dalla procura di Macerata, con il procuratore Giovanni Giorgio e il sostituto Stefania Ciccioli che hanno coordinato i carabinieri nella ricerca del colpevole, individuato a poche ore dalla scoperta dei resti di Pamela. «Io e il collega (Ernesto Napolillo, ndr) abbiamo letto le carte e siamo arrivati alla conclusione che l’unica pena coerente per quei fatti era l’ergastolo» dice il pg. La stessa pena era stata chiesta dal procuratore Giorgio, accolta dai giudici al processo di primo grado.

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Innocent Oseghale in aula

La Corte d’assise d’appello con la conferma della condanna all’ergastolo ha anche dato risposta a due istanze principali della difesa: la richiesta di nullità della sentenza di primo grado per il mancato avviso degli accertamenti medico legali a Oseghale mentre era in carcere, e quella di ulteriori accertamenti con una perizia tossicologica e sulle lesioni trovate sul corpo della 18enne uccisa. In particolare sulle due ferite che secondo la procura ne hanno provocato la morte. La difesa sostiene che quelle lesioni siano state provocate dopo che era morta, mentre Oseghale faceva a pezzi il corpo della ragazza per sistemarlo nei trolley. Ora sono attese le motivazioni della sentenza (i giudici si sono presi 90 giorni). Intanto gli avvocati difensori, Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, sono pronti a fare ricorso: «Andremo certamente in Cassazione. Siamo molto delusi per la sentenza» dice Matraxia. Ieri, dopo la sentenza, Oseghale ha contestato la condanna, ha detto «non l’ho uccisa io, è morta per la droga». All’uscita dall’aula, Matraxia ci ha parlato «mi ha ribadito di non averla uccisa, dice che non vuole pagare per quello che non ha commesso». Il nigeriano poi è rientrato nel carcere di Forlì.

verni-mc-1-492x650Intanto la famiglia di Pamela ieri è tornata a Macerata, nel parco di fronte alla casa di via Spalato dove la 18enne è stata uccisa: «Abbiamo portato fiori e un cero. Abbiamo ricevuto moltissime testimonianze di solidarietà dopo la sentenza» dice lo zio della 18enne, l’avvocato Marco Valerio Verni. Nel piccolo giardino ai piedi della casa, che certamente la ragazza ha guardato seguendo Oseghale nella casa in cui poi è stata uccisa, è stata realizzata lo scorso anno una piccola installazione in memoria della giovane uccisa. Un cerchio di petali di plastica che al proprio interno contengo ognuno un fiore. Vicino c’è un albero dove dai giorni successivi al 30 gennaio 2018, quando la ragazza è stata uccisa, vengono lasciati bigliettini, pupazzetti, fiori. E c’è, legata al tronco, una foto di Pamela che sorride, col suo nome e un cuore. Da mille giorni quel sorriso non c’è più, inghiottito in una tragedia che ha sconvolto l’Italia. Ora c’è stata una doppia sentenza, ma non finisce qui. La famiglia chiede di cercare i complici, la procura generale sta proseguendo le indagini dopo l’opposizione dell’avvocato Verni, alla richiesta di archiviazione su un fascicolo d’indagine che era stato aperto a Macerata e che riguardava l’eventuale coinvolgimento di altre persone nei fatti.  E infatti che la famiglia non si fermerà lo dice lo zio di Pamela: «È una sentenza di conferma che ci aspettavamo ed in cui speravamo – spiega -. Oseghale ha dunque violentato Pamela, uccidendola con due coltellate, per poi – e questo lo ha sempre confessato lui stesso – depezzarne il corpo chirurgicamente, disarticolarlo, scarnificato, scuoiarlo, decapitarlo, esanguarlo, asportarlo di tutti i suoi organi interni, lavarlo con la candeggina, metterlo in due trolley ed abbandonarlo sul ciglio di una strada. La civiltà non ha arretrato di fronte alla barbarie. Ringraziamo la procura generale di Ancona per l’ottimo lavoro svolto, che è sfociato in due requisitorie di altissimo livello in cui, peraltro, è stata data finalmente voce, in un processo, a tanti dei nostri dubbi che abbiamo cercato di far valere altrove, rimasti però inascoltati. Noi non ci fermiamo».

 

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La mamma di Pamela, Alessandra Verni

 

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