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I dirigenti Pd si riciclano traghettatori,
Acquaroli ha la strada spianata

IL COMMENTO di Fabrizio Cambriani - Quelli che hanno toccato il punto più basso sia in popolarità che in qualità avrebbero oggi in mano gli strumenti per rilanciare il partito. Questo ha deciso la direzione regionale. Si ispirano a Biden ma nei fatti scimmiottano Trump

 

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di Fabrizio Cambriani

Due, in meno di quarantotto ore le buone notizie per il presidente Acquaroli e la sua giunta. La prima è che per lui finisce l’isolamento preventivo, essendo risultato negativo al secondo tampone. La seconda è che domenica scorsa, si è svolta la direzione del partito Democratico regionale. Che si accinge a consegnare, in perpetuo, la regione Marche alle destre.

Narrano le cronache che a far data dal 21 settembre scorso, ovviamente per ragioni di profilassi sanitaria, quelli del Pd si siano messi in una lunga quarantena evitando analisi, confronti e dibattiti interni, dopo la disfatta di regionali e comunali. Tutto sommato, in questa fase, non hanno combinato grossi danni e qualcuno, ingenuamente, ma del tutto in buona fede, ha pure pensato che vi fossero alcune condizioni per poter ripartire, attraverso una nuova strada. Poi, all’improvviso la doccia fredda con la risoluzione della stessa direzione che prevede l’avvio di un percorso costituente per un congresso anticipato.

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Giovanni Gostoli, segretario regionale Pd

Con lo stesso segretario regionale Gostoli che lo vedrebbe nel ruolo di traghettatore, assieme a tutta la sua segreteria. Che però, particolare non trascurabile, si è presentata dimissionaria nella direzione di domenica scorsa. In altre parole, quelli che hanno toccato il punto più basso sia in popolarità che in qualità – sempre secondo le loro improbabili condizioni – avrebbero oggi in mano gli strumenti per rilanciare il partito. Una roba che solo pronunciata come lontanissima intenzione prevedrebbe, in un consesso normale, un lancio fitto e prolungato di pomodori e altre verdure andate a male da parte di tutta la platea. Invece questi, come se niente fosse, si sono superati, oltrepassando il limite di ogni decenza, con la pesante complicità perfino della segreteria nazionale del partito. Che avallando questo percorso e mettendoci la faccia, si espone al ridicolo. Anche perché lo fu lo stesso Zingaretti a sottolineare come la scelta per le regionali fosse stata locale e del tutto autonoma. Evidentemente, in questo caso, c’è bisogno del sostegno del nazionale. Che in termini pratici si trasforma in bilancino tra correnti. E appare quantomeno bizzarra, soprattutto nel momento in cui i nostri hanno avuto la stravagante idea di trasformare in silenzio assenso i voti non espressi da nessuno. Un metodo che, francamente, non sarebbe venuto in mente nemmeno al Nicolae Ceaușescu, dei tempi d’oro. A titolo di cronaca, a distanza di quattro giorni, non sono stati ancora resi noti i risultati della votazioni, proprio come accaduto in Pennsylvania.

Comunque, niente di nuovo sotto il sole. Il solito, già visto e sperimentato procedimento che sottintende i soliti accordicchi tra gruppi per quella che molti considerano la gestione di un’importante eredità. E che ha condotto il Pd a questi malinconici approdi. Quando in realtà e con queste premesse diventa, qui e ora, la curatela di un fallimento annunciato da lungo tempo. Una conclusione che, a soli tre mesi dalle elezioni, spacca in due come una mela l’intero gruppo consiliare. Poiché il suo presidente, Maurizio Mangialardi ne è uno degli artefici, assieme ai sodali Gostoli e Ricci. Non a caso, il suo ufficio in regione è diventato crocevia di lunghi e riservatissimi incontri dove, presumibilmente, si disegnano futuri organigrammi. Con la netta contrarietà, in questo percorso di Mastrovincenzo, Carancini e della Bora.

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Maurizio Mangialardi e Valeria Mancinelli

Ecco, niente di personale, ma da uno che ha perso malamente la regione ed è crollato addirittura dentro le rassicuranti mura del proprio comune, io non prenderei mai lezioni di politica. Logica e buon senso verrebbero che fosse sollevato al più presto dal suo incarico, prima che faccia altri danni. Ma come ho avuto modo di scrivere altre volte, logica e buon senso sono vocaboli che non appartengono al dizionario democrat. Fa rumore, inoltre, il silenzio della sindaca di Ancona, Valeria Mancinelli. Dopo le parole di fuoco scolpite sulle pietre di Facebook, all’indomani della Caporetto a cielo aperto marchigiana, ci si aspettava ben più carattere e determinazione. Doti che alla sindaca del mondo, invero non difettano, per invocare discontinuità. Reticenza? Tattica? Ah, saperlo… Invece stavolta il suo profilo è rimasto basso e ha lasciato che fossero gli altri a rivestire il ruolo di guastafeste. Primo tra tutti Romano Carancini, il suo (ormai ex) compagno di precedenti cordate. Che, in solitario, ha scelto di combattere a viso aperto, denunciando pubblicamente, tutti i limiti del percorso indicato da Gostoli e da quello che ormai è diventato un club sempre più ristretto ed esclusivo di perdenti cronici.

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Matteo Ricci

Resterebbero gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti che nel partito Democratico hanno riposto fiducia. Nonostante tutto. E che testardamente continuano nell’ostinarsi a credere che, malgrado tutti i limiti, questo partito possa essere ancora rigenerato per tentare di costruire un’alternativa credibile a questa destra capace solo di urlare parole vuote nei social. Ma che, una volta messa alla prova di governo, riesce solo a balbettare termini di andreottiana circostanza. O, al massimo buttare la palla in calcio d’angolo in attesa di tempi migliori. Ecco, nei loro confronti loro, vale il mussoliniano motto: “ce ne freghiamo”. Prima le carriere, gli organigrammi, le posizioni di rendita strettamente personali. E guai a mettersi di traverso. Una classe dirigente che si ispira a Biden, ma che nei fatti scimmiotta Trump. Generando così un contesto del tutto inedito per la gravità della situazione che, al contrario, richiederebbe tutt’altro approccio. Per le destre al governo invece, un frangente ideale che, già da adesso, spianerebbe la strada ad Acquaroli per un secondo mandato. Fa brutto dover registrare come nella nave che affonda, siano gli ufficiali i primi a mettersi in salvo, lasciando i passeggeri in balia delle onde. Dimostrando, ancora una volta, il sommo disprezzo che questa squalificata e incompetente classe dirigente ha nei confronti dei suoi rappresentati.

 

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