Muhammad Riaz durante il processo in corte d’appello
di Gianluca Ginella
Omicidio di Azka Riaz, confermato in appello l’ergastolo al padre della 19enne pakistana, Muhammad Riaz. Dopo la lettura della sentenza da parte dei giudici della Corte d’appello di Ancona l’uomo (che con la ragazza e gli altri 3 figli viveva a Montelupone) ha dato in escandescenze ed è stato portato a forza fuori dall’aula. Ha urlato: “Italia Paese di fascisti”.
La sentenza è uscita oggi intorno alle 16. Confermato quanto già era stato deciso nel processo di primo grado che si era svolto al tribunale di Macerata. Confermati anche i risarcimenti: per i tre figli di Riaz i giudici hanno deciso una provvisionale di 200mila euro, per la moglie 30mila euro.
Alla lettura della sentenza l’imputato «ha dato in escandescenze ed è stato portato fuori dall’aula» spiega l’avvocato Paolo Carnevali, che assiste una delle parti civili (assiste la tutrice legale dei tre figli dell’uomo).
«Ha urlato: “Italia Paese di fascisti, fascisti”» aggiunge il legale Maurizio Nardozza che tutela la madre di Azka, anche lei parte civile. I fatti che venivano contestati a Riaz risalgono al 24 febbraio del 2018.
La sera di quel giorno la figlia era stata investita da un’auto lungo la provinciale 485 a Trodica di Morrovalle. Ma quell’incidente, ricostruì la procura di Macerata, non era ciò che sembrava (la ragazza doveva essere sentita qualche giorno dopo per le presunte violenze sessuali subite dal padre). L’accusa (che aveva chiesto la conferma dell’ergastolo per Riaz) ha ricostruito che sarebbe stato l’imputato a sistemare il corpo della figlia in mezzo alla strada dopo averla picchiata, in modo che venisse investita da un’auto (come poi era accaduto). Riaz era finito sotto accusa per l’omicidio della figlia. Oltre a quello era imputato anche per violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia (reato che gli veniva contestato per i comportamenti tenuti verso gli altri figli). Il difensore dell’imputato, l’avvocato Francesco Giorgio Laganà, ha sempre difeso il suo assistito ritenendo che non avesse ucciso la figlia. La difesa ha sempre sostenuto che quel giorno la ragazza fosse scesa dall’auto per via di un guasto. Il padre era riuscito a far ripartire la vettura e stava tornando, lungo la provinciale 485, per far salire la ragazza quando questa era stata investita.
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