di Marco Benedettelli
Fra menù studiati per cene veloci da consumarsi entro il coprifuoco, conti da saldare entro le 21,30 per far andare via tutti in tempo, fra richieste, proteste, dubbi («e se piove? Rimborsiamo?»), e soprattutto fra tante speranze, lunedì 26 aprile riaprono bistrot, ristoranti, birrerie ed enoteche, ma solo col servizio all’aperto. Per tutti quei locali che dispongono solamente di stanze al chiuso, invece ancora niente, e l’amarezza e la difficoltà si fa sentire più che mai. La difficile e sfiancante battaglia per il contenimento della pandemia continua. Il coprifuoco alle 22 lascia perplessi molti, ma la possibilità di poter tornare a mangiare all’aria aperta, distanziati ma assieme, è un segno di normalità che ha il sapore di luce in fondo al tunnel. Nella grande speranza che i contagi continuino a scendere. Fabrizio Boari si prepara al ritorno in zona gialla e alle riaperture anche a cena con nuove accortezze e qualche auspicio: «Intanto un appunto, il decreto ancora ci richiede di incartare e impacchettare i coni e coppette gelato. Non ha senso, dato che poi i clienti lo scartano appena fatto un passo indietro, per consumarlo, con grande produzione di rifiuti – ci tiene a puntualizzare il titolare di Rosa Cremeria Food – Riguardo alla riapertura, faremo un menù rivisto per la cena, più agile perché il coprifuoco non consentirà ai clienti di restare con calma, per serate lunghe. Siamo operativi dalle 7 del mattino, fra colazioni, apertivi e pizzeria. Abbiamo rinnovato gli ombrelloni, il numero dei tavoli resta quello dello scorso anno. Speriamo che le condizioni meteo ci assistano».
Fra i locali di Boari invece resta chiuso Lievito Mare, sulla banchina Nazario Sauro. Sono in corso lavori di manutenzione sulla lunga pensilina del palazzo, che fa da portico. E quindi per ora non si può stare all’aperto. Dunque, in attesa che ritorni l’agibilità del tratto, restano chiusi anche gli adiacenti Bar del Porto e Anguì. Sempre per restare al porto, si prepara alla riapertura anche La Bitta, ma con una piccola regola: «Si pagherà il conto entro le 21,30, per non accumulare ritardi e permettere alle persone di essere a casa entro le 22, – aggiunge Marinella Manganelli – Questo inverno durante il periodo di apertura abbiamo costatato che i clienti sotto i dehor ci cenano volentieri, il distanziamento all’aperto rassicura e così il freddo diviene sopportabile».
Federico Pesciarelli della Raval Family è sereno. O Acqua O Vino e il Raval, i due storici locali di piazza del Papa stanno scaldando i motori: «Il coprifuoco alle 22? Non sono un virologo e dunque non mi esprimo sulle decisioni prese. Noi siamo pronti. Torniamo in campo, sempre fiduciosi. La nostra attività si svolge in gran parte all’aperto, dove ci sarà tutto il necessario per assicurare il distanziamento. Come abbiamo sempre fatto, nei periodi di apertura da zona gialla. Certo dispiace per la disparità di trattamento fra chi ha spazi all’aria aperta e chi non ne dispone». Si inizia a servire dalle 17 fino a chiusura. O Acqua O Vino terrà aperto la domenica a pranzo, il Raval sempre la domenica apre dalle 3 di pomeriggio».
Più perplessi i colleghi di Zucchero a Velò, il bistrot vegano del quartiere piano. I titolari Gabriele Battistoni ed Elisabetta Pincini commentano: «Per fortuna disponiamo di un ampio giardino per i tavoli. Ma se poi d’improvviso attacca a piovere o soffia il vento forte? Che si fa? Non esiste un piano b. Rimborseremo i pasti ai clienti? – e poi aggiungono –C’è da dire che per molti aspetti il decreto fa sorridere. Sulla curva dei contagi, che incidenza avrebbe avuto tenere aperta un’ora in più, e chiudere alle 23? E perché non aprire quei locali al chiuso che possono garantire il distanziamento? L’approccio del Governo manca di visione e di senso della realtà». Zucchero a velò rimarrà aperto dalle 10 alle 22, dalla colazione alla cena.
Fra chi continua la serrata perché non dispone di tavoli all’aria aperta, c’è Do’ Vizi, il bistrot di via XXIX Settembre. Il titolare Andrea Zarletti è amareggiato: «Stiamo ancora attendendo i ristori, li aspetto da gennaio. La discriminazione sembra aver preso di mira determinate categorie. I locali al chiuso sono diventati il capro espiatorio, impedirne la riapertura sarebbe la soluzione per limitare il contagio? E intanto, faccio un esempio, la Fincantieri ogni giorno accoglie migliaia di operai. Noi manteniamo il distanziamento, disinfettiamo, arieggiamo. Però non sembra bastare. E poi mense e autogrill e altri ristori considerati indispensabili hanno continuato il servizio, dunque la dimostrazione che si può andare avanti in sicurezza c’è. Almeno dateci degni ed equi ristori, se vi accanite a ostacolare la nostra libera attività. La piccola imprenditoria ha il cappio al collo, o chiude o va in mano al racket, parliamo di imprese dove le famiglie investono tutti i loro risparmi. Impedire a queste di andare avanti significa creare un disastro sociale».
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