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Vaccini, è corsa ai test sierologici
per valutare il livello di protezione
«Questi esami non riescono a dircelo»

INTERVISTA a Luca Butini, primario di Immunologia clinica all'ospedale Torrette di Ancona: «È ragionevole che le persone cerchino di avere delle risposte, ma al momento l'unica informazione che questi test del sangue possono dare è se il suo sistema immunitario abbia risposto o meno allo stimolo vaccinale»

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L’andamento delle vaccinazioni nelle Marche (fonte IlSole24ore)

 

di Francesca Marsili

Mentre nelle Marche l’effetto Green pass sulle vaccinazioni si sgonfia, passando dalle 2629 prime dosi inoculate giovedì 30 settembre alle 301 somministrate oggi 23 ottobre, molti marchigiani, in attesa di capire la strategia vaccinale sul lungo periodo si affidano ai test sierologici per rilevare il numero di anticorpi prodotti dal proprio organismo sia attraverso la vaccinazione sia successivamente all’aver contratto il virus per valutare poi, successivamente al risultato, se esporre nuovamente il braccio alla siringa per la terza dose. «E’ ragionevole che un cittadino vaccinato voglia soddisfare la sua curiosità di conoscere la propria risposta immunitaria ma è un esame che ad oggi non serve perché non ci sono dati certi che consentano di utilizzare il risultato di un test sierologico – spiega il dottor Luca Butini, primario di Immunologia clinica all’ospedale Torrette di Anconaattualmente non c’è un esame del sangue che possa dire con certezza “tu sei protetto a sufficienza non devi fare altro” o “ tu non sei protetto corri a fare il richiamo”».

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Luca Butini

Dottor Butini, ci spieghi meglio, perché il test sierologico anticorpale, oggi, è inutile?
«”Voglio fare il dosaggio anticorpale per vedere se la vaccinazione ha avuto effetto”. Chi va con questa domanda a fare un prelievo ottiene una risposta quantitativa. Si possono rilevare valori di BAU/ml (unità arbitrarie per ml) da decine di migliaia a migliaia o centinaia; il cut-off, ovvero la soglia che distingue il positivo dal negativo, è di 7 o 10 BAU/ml, a seconda dei test utilizzati. L’informazione che manca è però quale sia il valore minimo al di sotto del quale non si è più protetti. Per l’epatite B ci sono voluti un po’ di anni per capire chi dovesse fare il richiamo o chi potesse considerarsi protetto. A lungo termine succederà lo stesso anche per il Covid 19. Nel tempo scopriremo – misurando gli anticorpi e studiando l’immunità cellulare – cosa succede alle persone vaccinate. Scopriremo quali sono i veri correlati di protezione che saranno importanti per dire “tu è ora che fai il richiamo” oppure “tu sei protetto”.  Ad oggi non esiste un esame del sangue che possa dire con certezza se si sia protetti a sufficienza o se invece sia necessario fare un richiamo. Il richiamo, non essendoci alcun rischio, è pertanto opportuno per tutti, a partire dalle persone il cui sistema immunitario ha presumibilmente risposto al vaccino con minore efficacia, vale a dire gli anziani, gli immunodepressi, i “fragili” in quanto trattati con farmaci che interferiscono con la risposta immunitaria. È ragionevole che le persone cerchino di avere delle risposte: ho fatto due dosi, magari sono stato anche un po’ male dopo l’inoculazione, fammi vedere se ho gli anticorpi. Al momento però l’unica informazione che un test sierologico possa dare ad una persona è se il suo sistema immunitario abbia risposto o meno allo stimolo vaccinale. Nella stragrande maggioranza dei casi gli anticorpi ci sono, il vaccino fa il suo lavoro. Il dato epidemiologico ci dice che il vaccino protegge dal contagio e, laddove invece il contagio avvenga lo stesso, protegge dall’infezione in forma grave. Ma non è sulla base del risultato del test sierologico che si decide, oggi, se fare o meno il richiamo; in futuro vedremo».

Quali sono le attività di monitoraggio che state svolgendo in relazione al Covid all’Ospedale di Torrette?
«Si sta continuando a monitorare la risposta del personale sanitario proprio per conoscere entità e durata nel tempo della risposta anticorpale e di quella cellulo-mediata. La Virologia ed il Laboratorio analisi eseguono i test anticorpali,  l’Immunologia clinica studia e monitora la risposta cellulo-mediata, limitatamente ad un sottogruppo di vaccinati perché l’esame è più complesso e richiede una significativo impegno di risorse umane. Lo scopo è raccogliere e combinare le informazioni, confrontarle con quelle di altri centri che agiscono in parallelo, per arrivare a vedere quali siano i correlati di protezione, una domanda che ancora non ha una risposta.  Inoltre, insieme ai colleghi dei reparti di Malattie Infettive, studieremo il sistema immunitario di chi, pur avendo ricevuto la vaccinazione, contrae l’infezione e sviluppa sintomi che portano al ricovero, le cosiddette breakthrough infections, vale a dire i casi che rompono la protezione del vaccino ».

Sulla durata dell’immunità quindi non abbiamo ancora una risposta?
«Esatto. Abbiamo delle informazioni indirette che ci arrivano ad esempio da altre infezioni da coronavirus che ci sono state in passato come la Mers che ha avuto un impatto epidemico molto più basso rispetto a quella da Sars Cov-2.  Osservando quei dati, adesso che è ricomparso l’interesse per vedere la risposta immunitaria contro i coronavirus, si è osservato che persone guarite dalla Mers, studiate a distanza di anni, hanno valori non misurabili di anticorpi ma conservano l’immunità cellulo-mediata contro quel coronavirus. Ora, se venissero a contatto di nuovo con quel coronavirus avrebbero di nuovo l’infezione? Questo non lo sappiamo, però abbiamo una dimostrazione che un’infezione da coronavirus induce una risposta immunitaria in grado di durare anche diverse anni. Tutto questo indica fortemente la necessità di procedere a proteggere con la vaccinazione anche le popolazione dei Paesi che oggi sono ancora indietro; solo così arriveremo a limitare efficacemente la circolazione del nuovo coronavirus e la nascita di altre varianti».

Sul fronte delle vaccinazioni si sono evidenziati alcuni casi di richieste di esenzione, come si sta affrontando questa questione?
«Regione Marche ha costituito un gruppo tecnico per valutare le richieste di esenzione alla vaccinazione, in ausilio ai medici vaccinatori. I casi di persone che hanno motivi sanitari per essere esentati dalla vaccinazione sono fortunatamente rari. Il gruppo sta lavorando con grande intensità, valutando i casi più complessi e dando risposte tempestive ed essendo a sua volta in relazione con il gruppo tecnico nazionale».

Rilascio del Green Pass dopo la guarigione: ci sono incongruenze?
«La validità del Green Pass è inevitabilmente rigida, anche se viene aggiornata dal Ministero sulla base dei dati scientifici. La durata biologica della protezione – pur se ancora non la conosciamo – ha la variabilità che attiene ai fenomeni biologici. E’ possibile che si debbano sottoporre alla vaccinazione per ottenere il Green Pass anche persone ancora potenzialmente protette. E’ il caso di persone che scoprono di aver avuto Covid-19 in forma asintomatica perché risultano positivi agli anticorpi, ma non hanno mai fatto un tampone che dimostri la data della diagnosi. In questo caso il sistema richiede la somministrazione di due dosi di vaccino, a differenza di chi invece abbia avuto Covid-19 confermato da un tampone positivo, il quale può ricevere una sola dose di vaccino entro dodici mesi dalla diagnosi. La doppia dose di vaccino non rappresenta un rischio per chi abbia avuto Covid-19, lo dimostra il caso di molti sanitari colpiti da Covid fra ottobre e dicembre 2020 e vaccinati con due dosi fra gennaio e marzo 2021 prima che la normativa cambiasse. È comunque certo che, nell’incertezza, piuttosto che lasciare una persona potenzialmente non protetta sia più logico e corretto vaccinarla».



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