Il lungo cammino dei pellegrini ha per chi l’osserva, da 47 anni, un punto preciso in cui la strada da Macerata a Loreto può dirsi conclusa. Quando il primo pellegrino spunta a Loreto e intraprende la lunga discesa verso la basilica. E dietro di lui si intravedono decine e poi centinaia e in un attimo migliaia di persone (quest’anno si parla di 70mila presenti) che come un fiume riempiono la strada alla fine di una notte (anche se in quel momento già il sole si è alzato) fatta di canti, di preghiere, di tante persone che hanno chiesto di essere ricordate mandando intenzioni (e arrivano ormai da tutto il mondo).
E da lì poi i fedeli si concentrano nella piazza davanti alla basilica di Loreto. Ancora preghiere, ancora canti di chi per essere tra i 60mila di quest’anno, è arrivato da tutta Italia e pure dall’estero. E dall’estero nella notte sono state ricordare le intenzioni giunte da Brasile, Russia, Spagna, Francia, Colombia, Stati Uniti. I canti scandiscono la marcia dei pellegrini che nella notte si illumina di fiaccole, di torce di cellulari. Alla guida di questo fiume di fedeli monsignor Giancarlo Vecerrica, che il pellegrinaggio se l’è inventato nel 1978 e probabilmente ogni anno a vedere le migliaia di persone che percorrono quell’ultimo tratto a Loreto, il ricordo correrà all’inizio quando di persone erano solo trecento e poi a cosa è avvenuto dopo e come un rivo è diventato un fiume.
Un fiume di fedeli, circordato dall’impegno di centinaia di volontari pronti ad assistere chi nel lungo cammino si trovasse in difficoltà. Di certo, per una marcia di 28 chilometri serve preparsi un po’. Prepararsi, quanto meno, alla notte insonne. Anche se poi, a vedere i volti di chi partecipa, a Loreto si arriva con il sorriso, consapevoli probabilmente di essere parte di una fratellanza che l’umanità spesso si scorda (e il peggio possibile emerge) ma che quando si trova significa forza, partecipazione, progetti.
Quest’anno sono state le testimonianze di un ex carcerato, Franco. Di Imen, una ragazza musulmana di Pesaro, che ha trovato luoghi dove abitare, dopo aver lasciato la sua “casa” fatta di dipendenze e di condotte sul filo della legalità («Quello che mi corrisponde della vostra religione è che Dio ti si fa compagno nel cammino della vita, e questa per me è una bellissima avventura, della quale voglio andare sempre più in fondo»). Poi ci sono stati i racconti di Riccardo, Giulia, Emanuele e Serena, di Maria Silvia nella sua personale lotta contro la malattia. E tornando a ciò che accade al di fuori di quel sentimento di fratellanza, si è parlando delle guerre, del Medio Oriente, si è pregato per la pace e si è ascoltata la testimonianza di Jean Francois, che vive ad Aleppo, dove coordina i progetti di “Pro Terra Sancta” in mezzo alle macerie della guerra. Altra testimonianza quella di Chiara, torinese. Insieme al marito Hussam, medico ospedaliero, vive ad Haifa, in Israele.
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