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Ancona, così scompare
il calcio professionistico

IL PUNTO - Salvare l'Ancona 1905 per disputare la serie D costa circa 2 milioni. Più facile ripartire con una nuova società dall'Eccellenza. Ma in entrambi i casi non si intravedono i volentorosi e nel dubbio si fa sempre più concreta la possibilità di rimanere senza la prima squadra. E' l'epilogo della gestione Sosteniamolancona

di Giuseppe Giannini

Game over Ancona 1905. Anche l’ultimo uomo rimasto sulla nave dorica ha alzato bandiera bianca. Si è consumata infatti lunedì un’altra giornata surreale. L’ennesimo paradosso della sciagurata gestione dei tifosi. Con l’ad della società che comunicava che il club non si sarebbe iscritto alla serie D, aprendo di fatto lo scenario della messa in liquidazione della società, mentre i baby biancorossi si allenavano a pochi metri da lui. L’ennesima farsa messa in scena dopo la stagione chiusa con la retrocessione sul campo e una infinita serie di dispiaceri, non solo sportivi, per i supporter anconetani. Ma è l’epilogo di un disastro annunciato. Già a dicembre 2015. Quando Miani e l’ex sindaco Fiorello Gramillano (quel primo cittadino che nel 2010 non fu capace di trovare né una cordata né le risorse per iscrivere l’Ancona almeno in serie D) presero in mano le redini della società. Senza tentennamento alcuno un manipolo di tifosi, tra i quali spiccava anche il presidente di Sosteniamolancona Raffaele Vietri, si mise al timone del club che Marinelli lasciava gratis nelle loro mani. Una realtà strutturata e senza debiti a cui l’ex patron garantiva anche la fideiussione per l’iscrizione ai futuri tre campionati e oltre un milione di euro di sponsorizzazioni nell’arco di tre stagioni. Risorse liquefatte in pochi mesi e bilancio in rosso di circa 500 mila euro già a primavera. Debiti tenuti nascosti ad oltranza da Miani, da Gramillano e anche da Vietri presidente di SA che di fatto doveva esercitare un controllo sulla gestione e garantire la trasparenza. L’avesse fatto, molto probabilmente staremmo parlando di tutt’altro oggi. Forse sarebbe bastato fare un serio mea culpa, se non a stagione in corso, almeno a luglio 2016, quando il bilancio si chiudeva con una perdita di 250mila euro.

Perché all’arrivo di Fabiano Ranieri, uno sconosciuto nel mondo del calcio poi meteora nel cda biancorosso, e la conseguente ‘fuga’ di mister Cornacchini e la sua banda, un gruppo capace di sfiorare i playoff alla seconda stagione in Lega Pro, la frittata era già bella che fatta. Era l’inizio di una agonia che nel tempo ha visto diversi avvoltoi accanirsi sulla carcassa della società. Su tutti, quelli che sono stati i soci di maggioranza (fino al decadimento per il mancato pagamento delle quote) Leone e Mastropietro, sotto la ormai chiara ed evidente regia di Ettore Di Nicola, nome noto nel calcio principalmente per le vicende giudiziarie e le squalifiche connesse. Perché aprire la strada e poi le porte del club a personaggi arrivati da fuori città e con passati poco limpidi era l’unico modo per Miani di restare al proprio posto, magari anche con la speranza di risollevare le sorti di quella che dovrebbe essere la sua squadra del cuore. Ma che assieme alla dirigenza dei tifosi era stata affamata da mancati introiti, spese impreviste e previsioni di bilancio errate. Insomma già al termine del primo anno di governance di SA l’Ancona era alla canna del gas.

David Miani

A generare altra confusione e a configurare l’entrata dei nuovi soci come l’unica alternativa possibile i bluff di Miani. Unico sopravvissuto al primo anno di scellerata gestione dei tifosi. Rimasto oggi di nuovo da solo al comando dopo il travagliatissimo ultimo campionato, un’annata in cui si è toccato davvero il fondo, non solo sportivamente, che ha segnato una delle più gravi spaccature tra tifosi e società, ma anche tra ultras e squadra. Un binomio che nei momenti più difficili dei 112 anni di storia dell’Ancona si era sempre stretto e che invece è deflagrato dopo una sfilza di risultati negativi, incertezze sul futuro, e atteggiamenti da censurare da parte dei tesserati (su tutti va ricordato il caso Paolucci, l’ex serie A che ha affrontato a muso duro alcuni tifosi che seguivano la semifinale di coppa Italia in tribuna centrale al Del Conero). Sono tutti elementi che vanno considerati assieme all’ennesimo crack del calcio dorico per tentare di spiegare le ragioni di uno dei momenti di maggiore scoramento nella passione degli anconetani per la squadra della loro città. Perché lo zoccolo duro è stato polverizzato dagli anni di purgatorio nei dilettanti e la sciagurata gestione dei tifosi. L’imprenditoria locale latita. Idem le istituzioni. E anche la Curva Nord ha già dichiarato che non seguirà una nuova società (leggi l’articolo). Ma la speranza di un salvataggio dell’attuale club appare ormai un miracolo. Al di là del fatto che Miani ha gettato la spugna resta aperta l’ipotesi di una integrazione alla domanda di iscrizione incompleta presentata il12 luglio dall’ad. Documenti, tra cui l’organigramma societario, ma soprattutto i soldi per l’iscrizione che difficilmente saranno reperiti entro la scadenza del 26 luglio. Anche se l’Ancona 1905 non fallirà (la messa in liquidazione non sembra una operazione che consentirà di riscuotere crediti sufficienti per pagare i debitori) ora la palla passa al sindaco Valeria Mancinelli. Da regolamento sarà proprio il sindaco a dover parlamentare con eventuali cordate e al primo cittadino spetta riconoscere come “società di Ancona” una eventuale nuova società consentendole di ereditare storia e blasone. Sul tifo resta invece una grossa incognita. La Curva Nord ha detto infatti che non seguirà un altro club diverso dall’Ancona 1905. Parole che cozzano con una città che chiede invece disperatamente aiuto all’imprenditoria locale. Ma al di là della passione personale per questi colori cosa dovrebbe spingere un imprenditore a investire nell’ancona? Il salvataggio dell’attuale società rischia di essere, ad una settimana dalla dead line, oltre che una corsa contro il tempo una operazione da oltre 2 milioni di euro tra debiti e risorse necessarie per sostenere un campionato di Serie D (iscrizione, campi e allestimento della rosa). Appare quindi più percorribile la strada per ripartire dall’Eccellenza, ma col rischio di avere nella migliore delle ipotesi una squadra senza tifo organizzato, e nella peggiore di avere addirittura contro una parte, forse quella più importante e senz’altro la più calda, dei supporter dorici. Per il sindaco Mancinelli che all’unisono dell’assessore allo sport Guidotti ha comunicato ieri nella seduta della commissione consiliare attività sportive che non ci sono manifestazioni di interesse da parte di imprenditori locali. Ma siamo davvero ai titoli di coda del calcio anconetano? O forse si tratta di una provocazione per stanare anche i più scettici a farsi avanti per salvare un club che con due stagioni in serie A negli annali ha fatto più di qualsiasi altro soggetto per veicolare il nome della città sul territorio nazionale?

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