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Sentiero della Grotta Azzurra:
spunta la causa
da 2 milioni di euro

ANCONA – Maxi risarcimento chiesto dalla ditta che ha eseguito i lavori di messa in sicurezza del sentiero del monte Cardeto. Il Comune: “la commissione di collaudo ha riconosciuto un maggiore compenso pari a 22mila euro a fronte della stratosferica richiesta”

L’ingresso sbarrato al sentiero della Grotta Azzurra dello scorso settembre

 

Il recente crollo nella settimana di Natale, foto di Roberto Starnari

 

Falesia del Cardeto, oltre ai massi che crollano sul litorale c’è anche il macigno giudiziario a pesare su Palazzo del Popolo. Il Comune è stato citato in giudizio per un maxi risarcimento da 2 milioni di euro. Tanto quanto è stato speso finora per i lavori di messa in sicurezza del sentiero che da via Panoramica consente l’accesso alla spiaggia del monte Cardeto, la cosiddetta Grotta Azzurra. Ad avanzare la richiesta è stata la società Acquaviva Srl di Isernia, insieme con la Gransasso Disgaggio Srl di Scanno (L’Aquila). Sono le ditte a cui è stato appaltato nel 2010 il lavoro di messa in sicurezza del sentiero di accesso al litorale, lavori da 2,1 milioni di euro. Ci sono voluti sette anni per completarli, complice una morte bianca sul cantiere che ha bloccato a lungo le opere, ma anche a causa del braccio di ferro tra il Comune e le imprese appaltatrici. In sostanza, le imprese sostengono di aver dovuto eseguire lavori molto più importanti e costosi di quelli contenuti nel capitolato di gara e perciò a lungo hanno chiesto la rivalutazione dei compensi. Nulla da fare, ecco perciò che si è arrivati alla causa legale. Le due imprese chiedono un pagamento di 1,5 milioni di euro, comprensivi delle rivalutazioni e delle spese legali, in aggiunta ad un risarcimento “del danno da perdita di chances” valutato in 500mila euro, che sarebbe stato causato dal lungo contenzioso che ha impegnato le ditte appaltatrici.

La frana di settembre

Il Comune non teme di dover scucire un’euro e cita i verbali della commissione di collaudo già del 2012, in cui si sostiene che la maggior parte delle pretese “avanzate dall’appaltatore, sono infondate e/o inammissibili e che, in relazione alle stesse, all’impresa può essere riconosciuto un maggiore compenso complessivo, largamente inferiore al 10% delle opere appaltate, ammontante a euro 22.765,04 a fronte della stratosferica richiesta complessiva di euro 1.276.365,83”. Forti di questo parere, il Comune ha affidato al consulente di parte, l’ingegnere Cesare Greco, la perizia con cui controdedurre le tesi delle imprese. Si vedrà come andrà a finire davanti al giudice Valentina Rascioni, intanto resta il rischio di dover pagare altri 2 milioni di euro. Una beffa, se si pensa che appena lo scorso giugno il sentiero di accesso era stato completato con gli ultimi lavori alla pavimentazione, dopo 7 anni dall’avvio del cantiere. La spesa è stata finanziata per 1,5 milioni di euro dal ministero per l’ambiente, ma una quota importante, ben 680mila euro, è stata messa di tasca propria dai grottaroli, come pagamento dei diritti di superficie delle grotte, dopo anni di battaglie legali in tribunali con il Comune per chiarire di chi fosse la proprietà dei manufatti in area demaniale, alcuni risalenti al 1860. Dunque, nel 2007 il primo divieto di accesso per il pericolo caduti massi, solo nel 2010 l’avvio dei lavori, poi stoppati nel 2011 dalla morte sul cantiere di un operaio. A settembre, la rupe è tornata pericolosamente a franare, e così il Comune è tornato a far rispettare senza deroghe il divieto di accesso al litorale del Cardeto: il sentiero appena rimesso a nuovo, ufficialmente, serve per accedere solo alle prime 10 grotte, pochissimi metri di arenile. Il resto della costa non è in sicurezza e perciò resta vietato. E proprio nella settimana di Natale, la falesia è tornata a farsi sentire, con la caduta di alcuni pesanti massi sulle grotte.

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