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«La caccia al cinghiale va abolita,
lasciamo fare ai lupi»

L'APPELLO del delegato Lac Danilo Baldini: «Recenti studi scientifici hanno dimostrato che l'azione dei cacciatori, invece di ridurre il numero di esemplari in un territorio, ne provoca, di fatto, l’aumento»

 

«La caccia al cinghiale dovrebbe essere abolita, anche perché recenti studi scientifici hanno dimostrato che, invece di ridurre il numero dei cinghiali in un territorio, ne provoca, di fatto, l’aumento». A chiederlo, in vista dell’apertura della caccia al cinghiale, prevista per domenica prossima, è Danilo Baldini, delegato della Lega per l’abolizione della caccia. Il 14 ottobre «si inizierà con le province di Fermo ed Ascoli, a seguire, il 21 ottobre con la provincia di Macerata, ed infine il 1 novembre con le province di Ancona e Pesaro e Urbino. Non si comprendono le ragioni “scientifiche” di queste aperture differenziate tra le varie province – continua Baldini – come non si spiega il motivo per cui l’inizio della caccia al cinghiale nella regione non venga uniformato su tutto il territorio al 1 novembre, così come previsto dalla legge nazionale». Baldini evidenzia anche che «a metà ottobre gli alberi conservano ancora tutte le foglie e quindi le probabilità che si verifichino incidenti, anche mortali, dovuti alla scarsa visibilità, nel corso delle “braccate”, che sono la forma di caccia più pericolosa in assoluto, aumentano in modo esponenziale, come purtroppo dimostra la recente uccisione del giovane in Liguria proprio durante una battuta al cinghiale». Il delegato Marche della Lac spiega come l’azione dei cacciatori anziché provocare una diminuzione nella popolazione di questo animale, pericoloso per gli automobilisti e produttore di danni in agricoltura, causi un aumento: «La destrutturazione della popolazione del cinghiale, che si ha attraverso l’azione dei cacciatori, anche di coloro che hanno acquisito il ruolo dei cosiddetti “selecontrollori”, ne determina l’aumento del tasso riproduttivo – continua Baldini –  la riproduzione precoce delle femmine e un maggiore tasso di dispersione sul territorio tra i giovani, che sono poi quelli che creano maggiori danni alle coltivazioni agricole e che producono più incidenti stradali. Oltretutto, la rivendita dei capi abbattuti ai ristoranti da parte dei cacciatori, espone i consumatori a seri rischi sanitari, visto l’aumento delle patologie di cui sono soggetti i cinghiali, come la tubercolosi, la brucellosi e la recente peste suina africana». Il rimedio naturale per controllare la popolazione di cinghiali, si trova in natura ed è il loro predatore naturale, il lupo: «Lo dimostrano i censimenti effettuati sul numero dei lupi e dei cinghiali nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dove la caccia è vietata. La presenza del lupo al’interno del parco, la cui stima è stata condotta attraverso osservazioni, monitoraggi e i dati relativi agli esemplari dotati di radiocollare, risulta essere stabile, così come quella del cinghiale, che ne rappresenta la preda principale.  Questo dimostra – conclude il delegato Lac – che le due specie, se lasciate in pace, riescono a trovare fra loro un perfetto equilibrio biologico, rendendo di fatto inutile l’attività di selecontrollo effettuata dai cacciatori».

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