di Giampaolo Milzi
Tante scuse e comprensione dall’Arcidiocesi e l’assicurazione che “l’iter sta procedendo”. Ma, diplomazia a parte, un paio di fumose frasi di circostanza non bastano per fugare la legittima preoccupazione di alcuni esercenti di corso Mazzini, quelli che hanno il locale a ridosso della malridotta chiesa di San Biagio di Ancona. Vittima, verso le 12 di domenica 7 ottobre, dell’ennesimo “acciacco”, ovvero il distacco di alcuni frammenti dallo spigolo del cornicione longitudinale sopra il portale piovuti in testa ad una passante rimasta illesa. Da allora – dopo il tempestivo intervento di vigili del fuoco, polizia municipale e carabinieri – l’ampiezza del tratto del corso vecchio di fronte allo storico e popolarissimo edifico di culto settecentesco si è ridotto della metà, a causa di un transennamento necessario ma invasivo e ingombrante.
«Io sono il più danneggiato dagli effetti collaterali del piccolo crollo − si sfoga Mimmo Andreatini, titolare del Caffè Giordano, diretto dirimpettaio di San Biagio −. Le transenne mi hanno costretto a dimezzare lo spazio di strada dove piazzo i tavolini (ridotto a 7 metri quadri, ndr,) e non posso aprire nemmeno gli ombrelloni». Ovvio, dunque, il calo della clientela. E molta cautela da parte dei conducenti dei messi di servizio e soccorso (a cominciare dai furgoni di Anconambiente). A due passi dal fianco sinistro della chiesa, i fratelli Carlo e Davide Passarelli considerano la loro oreficeria un mezzo fantasma: «Quelli che passano qui davanti praticamente non vedono la nostra vetrina, deviati dalla transenne, e quindi non entrano». Sul fianco destro di San Biagio, si apre la stretta omonima via, dove serve cibo da asporto e non solo il “Wokaway”. Il gestore Lorenzo Sgalla la settimana scorsa ha telefonato all’Arcidiocesi per sapere qualcosa di preciso sulla tempistica dei lavori necessari per mettere in sicurezza la facciata della chiesa: «Niente da fare, si sono limitati a dirmi che stanno provvedendo. E anche qui da me è diminuito il flusso dei clienti».
Chi ha preso la questione più di petto, pur mantenendo la calma, è Andreatini: «Negli ultimi giorni e anche venerdì (19 ottobre, ndr) ho chiamato col cellulare più di una volta l’Arcidiocesi, solito ritornello, ovvero l’iter sta procedendo, ma qui davanti dal 7 ottobre non s’è vista l’ombra di un tecnico». Il titolare del Caffè Giordano si è dovuto accontentare delle “sentite scuse”, telefoniche di don Alberto Pianosi, il parroco del Sacramento che, con l’aiuto del giovane senegalese don Jean Claude assicura l’apertura di San Biagio dal lunedì al sabato, e assicura ogni giorno la celebrazione della Messa alle 11 e due ore di disponibilità per le confessioni dei fedeli. Pianosi, dal canto suo, non è andato oltre le generiche rassicurazioni sul fatto che «stiamo andando avanti con le operazioni che ci competono». E per sapere qualcosa su queste misteriose operazioni Andreatini si è affidato all’avvocato Michele Cantarini, e all’Arcidocesi ha posto qualche domanda tramite una lettera raccomandata. Zero risposte.
Eppure, a distanza di due settimane da un incidente che in tanti consideravano un po’ annunciato – viste le pietose condizioni che mortificano da decenni la facciata della chiesa – risposte concrete avrebbero dovuto essere già arrivate. Perché il Comune si è mosso rapidamente. Già il 10 ottobre la sindaca Mancinelli, dopo l’espletamento di una pratica da parte dell’Ufficio municipale Lavori pubblici, ha emesso l’ordinanza n°96 recapitata a don Pianosi e all’Arcidiocesi, in cui si intima “di iniziare immediatamente tutte le opere atte a rimuovere i pericoli” presenti dopo il crollo. I destinatari dell’ordinanza, secondo la legge, hanno dieci giorni di tempo (scadono all’inizio di questa settimana) per incaricare un tecnico di fiducia di compiere un sopralluogo, redigere un piano di interventi e mettere in sicurezza cornicione e facciata di San Biagio. Un atto obbligato, l’ordinanza sindacale, alla luce dell’esito delle verifiche compiute il 7 ottobre dai vigili del fuoco e relazionate al Comune, in cui si certifica che esistono rischi per la pubblica incolumità e si sollecita un urgente intervento da parte dei responsabili dell’edificio di culto.
Già, i responsabili. La chiesa di San Biagio non è una parrocchia, ma una rettoria, e quindi dipende dal punto di vista amministrativo direttamente dalla Curia arcivescovile. La cui segreteria negli ultimi giorni è stata tempestata di telefonate, molte di fedeli o di semplici cittadini, ansiosi di sapere quando la chiesa riaprirà. Anche loro si sono dovuti accontentare di striminziti inviti alla pazienza e di vaghe promesse sui tempi necessari per il rispetto dell’ordinanza di messa in sicurezza. Il caso è stato reso noto all’arcivescovo monsignor Angelo Spina. E la pratica è finita anche sulla scrivania di don Luca Bottegoni, responsabile dei Beni culturali dell’Arcidiocesi. Ma anche lui sostanzialmente tace.
Non resta dunque, per ora, che affidarsi alle ipotesi. Delineabili in base a fonti ufficiose ma ben informate. Quella più ottimistica? L’ingegnere della Curia potrebbe, una volta esaminata la facciata di San Biagio, decidere che per ripristinare la sicurezza pubblica basterebbe rimuovere alcuni mattoni spezzati e altre parti in cemento del cornicione pericolanti. In tal caso servirebbero poche migliaia di euro.
Ma l’ipotesi più credibile è un’altra. Pare che l’ultimo approfondito controllo strutturale della chiesa risalga addirittura al periodo post sisma del 1972. Tracce di un intervento di “rappezzamento cementizio” sono visibili sulla facciata. Facciata da decenni interamente ingrigita e coperta di fuliggine. Se, come tutti auspicano, l’Arcidiocesi, dopo tanta latitanza tecnica, attuerà un’ispezione minuziosa e generale sull’immobile, è molto probabile che emergano problemi strutturali, anche di minima ma rischiosa entità. E che quindi non basterà qualche “rattoppo” e, si spera, una radicale pulizia che restituisca candore al fronte edificato che dà su corso Mazzini. In tal caso il cantiere si annuncerebbe molto costoso, oltre che lungo. Ma tant’è, anche monsignor Vincenzo Baiocco, direttore dell’Ufficio Economato della Curia, dice che non si sta occupando del “caso San Biagio”.
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