facebook rss

A tre anni dal sisma,
nei panni dei 30mila sfollati
Quasi 800 vivono ancora in albergo

TERREMOTO - Per molti sarà la terza estate lontano da casa e la ricostruzione continua a stentare con solo il 35% di domande autorizzate delle oltre 6mila richieste presentate. La Dia avverte che ci sono proiezioni del clan Farao-Marincola di Crotone nelle province di Macerata e Fermo. Un terremotato: «Inutile la sospensione delle bollette per case in cui non viviamo»

 

La devastazione del terremoto in una frazione di Castelsantangelo

 

di Ugo Bellesi

A quasi tre anni dal sisma del 2016 tutti noi che viviamo al di fuori dell’area maggiormente colpita (grosso modo, per convenzione, intendiamo l’area compresa tra Camerino e Castelsantangelo) ci siamo mai domandati come siano le condizioni di vita dei 30.710 sfollati, pari a 14.058 famiglie, tenendo anche conto che ben 765 persone non hanno ancora una sistemazione propria ma vivono in albergo? Molti di questi 765 sfollati soggiornano in camping, b&b e alberghi di Porto S.Elpidio. Purtroppo, ad iniziare dall’agosto 2016, quella attuale è la quarta estate che vivono da esiliati. Per loro la situazione quindi è ancora di “emergenza”, che però dovrebbe terminare a dicembre 2019. In quella data se dovessero tornare nei rispettivi paesi non solo non avrebbero ancora la loro casa restaurata, ma non troverebbero neppure di che vivere. Tanti infatti hanno perso il lavoro causa terremoto e altri non ce l’avevamo neppure prima. Figuriamoci adesso.
Mettiamoci per un attimo, per così dire, “nei loro panni”. Subito dopo il dramma di avere la casa distrutta o comunque inabitabile subentra inevitabilmente la rassegnazione. Il perdurare della situazione di disagio per la lontananza dai propri cari, per la mancanza di un centro di comunità, per il problema di raggiungere la farmacia o un negozio di generi alimentari eccetera eccetera provoca la frustrazione. La difficoltà di avere a disposizione qualcuno che li aiuti per le pratiche necessarie a presentare il progetto di ricostruzione del proprio alloggio, nonché per i complessi adempimenti imposti dalla burocrazia, e il timore che il finanziamento dello Stato non copra tutte le spese o che l’Ufficio per la ricostruzione indichi una soluzione diversa da quella proposta, sono la causa di profonda sfiducia.

Lavori di demolizione a Pieve Torina

Con questa situazione in quale ricostruzione possiamo sperare? Sappiamo che per la ricostruzione privata relativa alla provincia di Macerata sono state presentate 6.449 domande (di cui 1.236 per le attività produttive). Ne sono state autorizzate appena il 35% e i lavori sono ultimati solo per il 29%. Per quanto riguarda i 2.004 edifici pubblici danneggiati sono stati finanziati soltanto i lavori per 818. Sono 50 i restauri terminati e 55 gli edifici in corso di ricostruzione. Invece sono in esecuzione gli appalti per altri 111 fabbricati pubblici. Nel comune di Camerino su 1.965 fabbricati inagibili (471 con danni lievi, 81 per danni classificati “C” e 1.411 con danni gravi) sono state presentate all’Ufficio ricostruzione solo 246 domande. Per la ricostruzione pesante riguardante i 1.411 edifici danneggiati sono stati presentati soltanto 72 progetti. Per sbloccare la situazione a suo tempo Cgil, Cisl e Uil avevano chiesto un “confronto aperto “che individui con chiarezza i “colli di bottiglia” che bloccano la ricostruzione e identifichi le procedure da snellire e gli strumenti per incentivare la presentazione delle pratiche e contenere al massimo gli “accolli” a carico dei proprietari”. I sindacati chiedevano anche la stabilizzazione e l’incremento del personale assunto negli enti locali e nell’Ufficio speciale della ricostruzione.

Daniel Taddei

E’ stato fatto nulla di tutto ciò? Eppure i sindacati, insieme alla Prefettura e alle forze dell’ordine, sono in prima linea per la lotta contro il caporalato e l’illegalità del lavoro: «Avevamo iniziato – ci spiega Daniel Taddei, segretario provinciale della Cgil – quando sono state costruite le casette dei terremotati. Grazie a quella battaglia ora le denunce aumentano in misura esponenziale. Dentro la ricostruzione c’è tutto: dalla contrattazione, alla sanità, all’economia che deve ripartire. Così ora abbiamo chiesto nuovi strumenti di tutela del lavoro come il Durc di congruità e il settimanale di cantiere». Ma questo non basta: bisogna pensare ai servizi sanitari, scolastici, socio-sanitari, e ai trasporti pubblici che sono essenziali per il rientro e il radicamento della popolazione terremotata. Inoltre bisogna fare in fretta perché prima o poi anche gli eroici commercianti che in qualche modo sono riusciti ad aprire un locale per la vendita di generi di prima necessità (quindi frutta, verdura, alimentari) ma anche qualche caffè o pasticceria dovranno arrendersi e “chiudere bottega”. Infatti la clientela è scarsa. Così ad esempio a Camerino sono venuti a mancare un migliaio di clienti in quanto i centri montani, i cui abitanti affluivano per gli acquisti nella città dei Varano, a causa del sisma si sono spopolati. Le famiglie rimaste, quando debbono fare acquisti consistenti (magari per una settimana), si spostano a Castelraimondo, San Severino, ma anche a Macerata e Civitanova.

Macchie, frazione di Castelsantangelo, a quasi tre anni dal terremoto

In questo quadro, già abbastanza sconsolante, si moltiplicano gli allarmi per l’ombra della ‘ndrangheta che grava sulla ricostruzione. E non sono soltanto voci ma è la Dia nazionale che a chiare note fa sapere come sugli appalti pubblici di edifici e di infrastrutture stradali sono forti gli interessi del crimine. E la stessa Dia approfondisce anche il concetto precisando che per quanto riguarda le province di Macerata e Fermo “si registrano proiezioni del clan dei Farao-Marincola di Cirò (Crotone)”. Come dire che… siamo in buone mani. Si contava molto sullo “Sblocca cantieri” e purtroppo, proprio a Genova, dove si stava ricostruendo il ponte Morandi, si è scoperto che vi era impegnata anche una ditta mafiosa. Proprio in quel di Genova dove l’attenzione delle istituzioni era massima. Fortunatamente è stata bloccata in tempo. Ci riusciremo anche nel Maceratese? Ma certo sbagliamo a circoscrivere il fenomeno alla sola nostra provincia. Infatti la ricostruzione e il rischio di suscitare gli appetiti della criminalità riguarda quattro regioni, dieci province, circa 600mila abitanti, 8mila chilometri quadrati di territorio e 131 Comuni. In pratica riguarda proprio il “cuore dell’Italia” e quindi dovrebbe “stare a cuore” a tutti gli italiani. E invece questa vastissima area del paese – come più volte abbiamo sentito ripetere al sindaco di Castelsantangelo sul Nera, Mauro Falcucci – non ha ancora meritato un decreto. Siamo stati sempre “aggregati” al Decreto Genova, Decreto Ischia, Decreto area etnea eccetera eccetera. Ma non ci arrendiamo per questo. I marchigiani, a loro spese, hanno imparato da tempo il messaggio lanciato dal procuratore di Mani pulite, Francesco Saverio Borrelli, nel 2002 all’inaugurazione dell’anno giudiziario: “Resistere, resistere, resistere…”. E concludiamo con una opportuna segnalazione che ci viene da un lettore di Corridonia, Pietro Chiaravalle, il quale tra l’altro scrive: «In tutti i comuni compresi nel cratere del sisma è stata disposta la sospensione dei pagamenti delle forniture di luce, gas e acqua. Sospensione che, di proroga in proroga, dal novembre 2016, risulta tutt’ora in vigore e sembra vengano riattivati a fine 2019, con la rateizzazione delle somme dovute fino a quella data. Di certo è una disposizione forse socialmente opportuna, ma, ritengo del tutto inutile, perché quelli che hanno avuto la casa distrutta o inagibile non avrebbero potuto usufruire, oggettivamente, delle utenze in discussione e per conseguenza erano automaticamente esenti dal pagamento di qualsiasi somma, mentre per i rimanenti abitanti (compreso il sottoscritto) che non hanno subito alcun danno dagli eventi sismici, all’infuori della paura, mi sembra un provvedimento inesplicabile, sicuramente solo demagogico… Sono tre anni che non paghiamo più la fornitura dell’Enel, e con essa i canoni della Tv e quelli del metano-Eni, mentre per l’acqua il Comune, nel nostro caso, si è assunto l’onere di pagare i consumi per tutti gli utenti per la durata di tre anni. Evidentemente i nostri politici hanno una visione distorta delle reali esigenze della popolazione».

</

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page




X