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Assegnazione dei fondi del Pnrr,
le Marche in coda con il 3%

L'ANALISI di Ugo Bellesi - Alla nostra regione va 1 miliardo e 405 milioni, peggio solo l'Umbria col 2%. La provincia di Macerata è quella che ha sentito maggiormente i contraccolpi economici della pandemia con un crollo del valore aggiunto, rispetto al 2020, del 12,5%, Ancona si è fermata a un -6,6%

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Ugo Bellesi

 

di Ugo Bellesi

Nei mesi scorsi più volte avevamo messo in evidenza il fatto che nell’ambito delle regioni del centro Italia le Marche, insieme all’Umbria, stavano regredendo e gli economisti cominciavano ad inserirle tra le regioni del sud.

Ma avevamo anche sottolineato che la provincia di Macerata (unitamente forse a Fermo che però ha un territorio molto più piccolo) slitta economicamente più indietro anche rispetto alle altre province delle Marche. Una indiretta conferma a queste considerazioni ci viene da come sono stati distribuiti i fondi del Pnrr per i progetti del settore delle costruzioni e quindi subito cantierabili. Ebbene alle Marche è stato assegnato un miliardo e 405 milioni, vale a dire il 3% della somma messa a disposizione per l’Italia pari a 55,7 miliardi. E’ andata meglio al Lazio che ha avuto il 7%, e alla Toscana il 4%, mentre l’Umbria buon ultima ha avuto il 2%. Il confronto con il vicino Abruzzo (che ha avuto due miliardi e 659 milioni) ci vede perdenti doppiamente perché la regione nostra confinante gode anche di uno sgravio del 30% sul costo del lavoro. Ma se guardiamo bene le cifre ci rendiamo conto che il nord Italia ha avuto il 42% (pari a 23 miliardi e 315 milioni), il sud il 43% (pari a 24 miliardi e 180 milioni) mentre al Centro Italia è stato riservato soltanto il 15% (pari a 8 miliardi e 193 milioni). E’ ancora più significativo mettere a confronto gli stanziamenti per tutte le regioni del Centro con quelli ottenuti dalla sola regione Campania e cioè 7 miliardi e 364 milioni (pari al 13% del totale). E passiamo ad altri dati non certo confortanti, quelli riguardanti quanto hanno pesato sulla nostra economia i “costi” della pandemia. La ricerca è stata fatta da Centro studi Tagliacarne e Unioncamere calcolando il valore aggiunto del 2019 confrontato con quello del 2020.

Infatti la provincia di Macerata ha visto un crollo del valore aggiunto, rispetto al 2020, del 12,5%. E’ questo il peggior risultato tra tutte le province delle Marche. Infatti Ancona -6,6%, Fermo -7,7%, Pesaro -10,2% e Ascoli -11,9%. Altre cifre che non vedono favorita la nostra provincia sono quelle riguardanti il reddito medio pro capite. Infatti Ancona registra 25.756 euro, Pesaro 22.591 euro, Macerata 21.514 euro, Fermo 21.081 euro e Ascoli 20.230 euro. Per fortuna ci sono però anche delle buone notizie a confortarci e la prima è che arriveranno nelle Marche nelle prossime settimane 38 “super esperti” come consulenti per assistere le amministrazioni locali nella preparazione delle pratiche relative al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Si tratta di personale altamente formato che potenzierà le capacità progettuali degli Enti locali. Altra notizia positiva è che diventerà presto esecutivo un decreto che stanzia un miliardo e 780 milioni, come previsto dal Fondo complementare del Recovery plan, per rilanciare il Centro Italia colpito dal sisma. Fondi quindi che saranno gestiti dal commissario straordinario alla ricostruzione Giovanni Legnini. Il primo intervento, chiamato “paesi e città sicuri, sostenibili e connessi”, prevede un finanziamento di 1.078 miliardi per accrescere l’attrattività delle aree interne. Il secondo intervento è destinato alla installazione, su tutto il territorio, di sensori per il controllo del rischio sismico, delle reti elettriche e delle presenze nei cantieri. Infine il terzo intervento prevede incentivi ai Comuni per l’efficientamento degli edifici pubblici.

Infine saranno creati tre centri di ricerca riguardanti l’alta formazione nella pubblica amministrazione, il terremoto e le tecnologie agroalimentari. Invece alle imprese andranno 700 milioni per investimenti sulla transizione ecologica e su quella digitale ma anche per favorire il ritorno del commercio nei centri storici. Potrebbe essere considerata positiva anche la notizia relativa al costo, per ogni cittadino, dei servizi anagrafici e di quelli tecnici nei vari Comuni. L’analisi è stata fatta dalla Corte dei conti che considera più efficiente l’amministrazione comunale che spende meno. In Italia il costo medio per ogni cittadino è di 218 euro. Per quanto riguarda l’Italia centrale nelle Marche e nel Lazio la spesa media è di 210 euro, in Umbria di 204 euro, in Toscana di 195 euro. Così risulta che nelle Marche si spendono soltanto 27 centesimi di euro ogni euro di spesa totale. In confronto la Valle d’Aosta spende 852 euro pro capite, il Veneto soltanto 152 euro.

Qualcuno ci ha fatto notare però che non sempre spendendo meno si è più efficienti. A volte si spende meno perché c’è meno personale, altre volte perché il personale è meno efficiente, spesso a causa del fatto di avere qualifiche inferiori rispetto ai dipendenti di altri Comuni. Non dimentichiamo inoltre che alcuni segretari comunali sono al servizio di più di un Comune mentre alcune amministrazioni comunali si “prestano” i vigili urbani, reciprocamente da uno all’altro centro, in occasione di fiere, mercati, sagre. E questo proprio perché molti Comuni hanno le finanze ridotte all’osso. E veniamo ad un problema che riguarda molti cittadini. E’ obbligatorio, dal 1° ottobre, se si vuole accedere ai servizi digitali delle pubbliche amministrazioni, possedere una identità digitale, cioè Spid, Cns o Cie. Quest’ultima è la Carta d’identità elettronica ed è più semplice acquisirla. Tuttavia è evidente che per molti cittadini (specie i meno giovani e poco avvezzi agli strumenti elettronici) quello che per la pubblica amministrazione è una semplificazione sta diventando un problema. Infatti mentre al nord il 47% dei cittadini ha la carta d’identità elettronica, al sud la possiede solo il 30%, nelle Marche appena il 23%. Il che significa che numerosi cittadini sono sprovvisti dell’ “identità digitale” e quindi non possono accedere ai servizi digitali delle pubbliche amministrazioni.

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