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Banche, l’allarme della Cisl:
«Un quarto dei marchigiani senza sportello
E nel 2023 in arrivo altre chiusure»

OSSERVATORIO sulla desertificazione bancaria: nelle Marche il 26% dei Comuni è senza istituto di credito, per un totale di 54mila persone. Mentre sono 4.200 le aziende con sede in un paese senza banche. I tagli riguardano quasi esclusivamente le zone rurali e di montagna. Il segretario della First Cisl Mario Raimondi: «Da una parte c’è una popolazione che sta invecchiando e non ha la cultura per accedere ai servizi digitali. Dall’altra vengono chiusi sportelli nei piccoli centri e si produce un danno maggiore»

Mario-Raimondi

Mario Raimondi, segretario First Cisl Marche

 

di Francesca Pasquali

Un territorio grande come Lombardia, Piemonte e Veneto messe insieme. A unire tutti i Comuni d’Italia senza una banca si arriverebbe più o meno a quelle dimensioni. Lo dice l’Osservatorio sulla desertificazione bancaria promosso dalla First Cisl, che ogni tre mesi analizza i dati del Comitato scientifico della Fondazione Fiba. Nel fuggifuggi generale, le Marche se la passano meglio di altre regioni. Al 31 dicembre 2022, infatti, gli sportelli bancari ogni 100mila abitanti erano 48, contro i 37 della media nazionale. Ma le chiusure non si arrestano. L’anno scorso sono state undici. E, oggi, più di un quarto dei Comuni marchigiani (il 26,2%) non ha uno sportello bancario, per un totale di 54mila persone prive del servizio. I tagli riguardano quasi esclusivamente le zone rurali e di montagna. Comuni piccoli e piccolissimi. Come Monsano, Belvedere Ostrense, Offagna e Barbara nell’Anconetano, Montelupone e Petriolo nel Maceratese, Venarotta e Massignano nell’Ascolano, Campofilone e Magliano di Tenna nel Fermano e Montecalvo in Foglia in provincia di Pesaro e Urbino, tutti senza sportello bancario. Una situazione «pericolosa», per il segretario generale della First Cisl Marche, Mario Raimondi, in una regione fatta di poche grandi città e tanti piccoli centri, concentrati soprattutto nell’entroterra e con una popolazione sempre più anziana.

«La chiusura delle filiali – dice il sindacalista – crea difficoltà ad accedere ai servizi bancari. Per una regione come la nostra, il venire a mancare di un luogo fisico crea un grande problema. Perché la banca non è solo un esercizio commerciale, ma anche un luogo di relazione, dove si fa cultura di risparmio, investimento e impresa». Secondo i dati dell’osservatorio, il 54% della popolazione marchigiana usa l’internet banking, cioè fa operazioni bancarie in rete, contro il 48% della media nazionale. Ma questo – fa sapere il segretario della First Cisl – succede soprattutto nei territori più grandi e sviluppati. Mentre in quelli più piccoli, soggetti a uno spopolamento che sembra inarrestabile e popolati soprattutto da anziani, lo sportello resta la via prediletta».

«Il problema è doppio. Da una parte – spiega Raimondi – c’è una popolazione che sta invecchiando e non ha la cultura per accedere ai servizi digitali. Dall’altra le banche che chiudono gli sportelli bancari nei piccoli centri perché, essendoci poca popolazione, pensano di fare meno effetti, ma producono un danno maggiore». La desertificazione bancaria crea grane anche alle imprese. Nelle Marche sono circa 4.200 quelle con sede legale in Comuni senza sportelli bancari. «Vuol dire meno accesso al credito o, comunque, più difficoltoso», sintetizza il sindacalista. E la situazione è destinata a peggiorare. «Nel 2023 – spiega il segretario della First Cisl –, vedremo la chiusura di almeno dieci, tra filiali e sportelli, della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna e di almeno dodici di Intesa Sanpaolo. Temiamo che sia l’inizio di un processo che farà virare il trend della desertificazione su un’area di rischio che potrebbe esplodere nell’anno in corso, lasciando metà dei Comuni marchigiani senza sportelli». Che fare, allora, per invertire la rotta o, almeno, per arginare il fenomeno? «Chiudere aziende che fanno grandi guadagni, abbandonando territori in difficoltà, è il risultato di una politica miope di concentrazione industriale», dice Raimondi. «Quello che possiamo fare – conclude – è sensibilizzare l’opinione pubblica a prendere coscienza della situazione, ma è la politica a dover incidere con una certa “moral suasion”».

 

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